7. Colletta

VII – COLLETTA

Terminato il Gloria, il sacerdote bacia l’altare e, voltandosi verso il popolo, dice: Dominus vobiscum. Già un’altra volta aveva rivolto queste medesime parole ai soli ministri, quand’era ancora ai piedi dell’altare. Era allora come una sorta d’addio che dava nel momento in cui si disponeva ad entrare nella nube, non volendo separarsi dal popolo fedele senza aver detto una parola di affetto a coloro che avevano pregato con lui. Qui la santa Chiesa l’adopera con un’altra intenzione, ossia per richiamare, in qualche modo l’attenzione dei fedeli e ricordar loro che il sacerdote sta per pronunziare la colletta, ossia l’orazione nella quale raccoglie i voti dei fedeli e presenta a Dio le loro domande.
La parola colletta viene dal latino colligere, che significa “raccogliere, riunire”. La colletta è di grande importanza, e perciò la santa Chiesa vuole che la si ascolti con rispetto e gravità. Secondo le usanze monastiche, mentre il sacerdote la recita, i Religiosi devono star inchinati profondamente, mentre nei capitoli i canonici l’ascoltano rivolti verso l’altare.
Alla fine di quest’orazione il coro risponde Amen, come se dicesse: “Sì, questo è ciò che domandiamo ed approviamo quanto è stato detto”.
Questa prima orazione della Messa la si ritrova nell’Ufficio del Vespro, delle Lodi ed anche nel Mattutino dell’Ufficio monastico e nell’Ufficio romano (5). Non la si trova all’Ora di Prima, perché quest’Ufficio è stato istituito più tardi, né a Compieta, che deve essere considerata come una preghiera della notte, di cui san Benedetto, per primo, ha fissato la forma liturgica. La si ritrova, invece, all’Ora di Terza, Sesta e Nona.
Tutto ciò dimostra quanta importanza la santa Chiesa attribuisca alla recita di questa preghiera, che dona, in un certo senso, la caratteristica del giorno. Nessuna meraviglia, dunque, che la faccia precedere dal Dominus vobiscum, come per dire al popolo: “Prestate molta attenzione, perché quanto segue è della più grande importanza”. Inoltre, in questo momento il sacerdote si volta verso il popolo, cosa che non ha fatto quando era ancora ai piedi dell’altare. Ormai si sente sicuro e, dopo aver ricevuto la pace del Signore baciando l’altare, l’annunzia al popolo. Poi, come se la portasse sulle sue braccia, le allarga dicendo: Dominus vobiscum, e il popolo risponde: Et cum spiritu tuo. Il sacerdote, allora, sentendocene il popolo gli è unito, aggiunge subito: Oremus, “preghiamo”.
Il Fax vobis, che dicono i prelati invece di questo Dominus vobiscum, è un uso antichissimo. Era una formula di saluto abituale presso i Giudei e ricorda le parole del Gloria: Fax hominibus bonae voluntatis. È molto probabile che nei primi secoli tutti i sacerdoti dicessero il Fax vobis. Qualcosa di simile avviene in molte altre cerimonie pontificali. Così, ad esempio, è avvenuto per l’uso del manipolo che il prelato non indossava se non quando saliva all’altare. Tutti i sacerdoti, un tempo, facevano così. Più tardi è sembrato più semplice prender il manipolo in sacrestia e questo uso è prevalso sull’antico, che è stato riservato ai soli prelati (6).
Essendo il Fax vobis un ricordo del Gloria, ne consegue che, nelle Messe in cui si omette quest’inno, quella formula andrà sostituita col: Dominus vobiscum.
Il sacerdote deve tenere le braccia allargate quando legge la colletta, praticando in tal modo l’antico modo di pregare dei primi cristiani. Come Nostro Signore ha pregato sulla croce con le braccia stese, così i primi cristiani si rivolgevano a Dio allargando le braccia. Questo uso antichissimo ci è stato tramandato in modo particolare dalle pitture delle catacombe, che raffigurano l’orazione fatta sempre in questo atteggiamento: di qui il nome di Orantes dato a tali rappresentazioni, le quali – come pure gli scritti dei santi Padri – sono servite perché un’infinità di particolari relativi ai primi secoli del Cristianesimo non andassero perduti per sempre.
In Oriente si conserva ancora questo uso per tutti i fedeli. In Occidente è divenuto abbastanza raro e lo si restringe a casi particolari; solo il sacerdote prega in questo modo, perché rappresenta Nostro Signore, il quale, confitto sulla croce, offre al Padre una preghiera di straordinaria efficacia.

NOTE

5) Fatta eccezione per l’Ufficio di Natale, prima della Messa di mezzanotte.

6) Nella celebrazione, il vescovo sopra il rocchetto indossa l’amitto ed il camice, quindi la croce pettorale, la stola, la tunicella e la dalmatica ed infine la pianeta (se è metropolita vi aggiungerà il pallio benedetto dal Romano Pontefice; in alcune diocesi non metropolitane v’è un’insegna caratteristica detta “razionale”); poco dopo il Confiteor indosserà il manipolo. L’uso per i vescovi d’indossare il manipolo all’altare va spiegato, più che con ragioni simboliche, col fatto che lo si consegnava al vescovo quando, già vestito, stava per salire all’altare. Cf. M. RIGHETTI, op. cit, voi. I, p. 620.

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