Per comprendere il messale promulgato nel 1568 da san Pio V (e leggermente modificato dal beato Giovanni XXIII nel 1962), sono necessarie alcune notazioni previe sugli errori degli eretici protestanti riguardo alla dottrina sulla santa Messa. Essi riducevano la Messa ad un semplice memoriale, un ricordo della cena del Signore, durante la quale vi sarebbe soltanto una certa Sua assistenza spirituale, ma non la Sua Presenza Reale, la transustanziazione: trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo. Tutto deve lasciar trasparire che si tratta di una semplice cena memoriale, di una cerimonia totalmente umana, di una cerimonia in cui prevale l’orizzontalità della comunicazione, di una cerimonia caratterizzata, in prevalenza, dal dialogo fra presidente e assemblea, per cui:
– l’altare sacrificale viene sostituito con il tavolo conviviale;
– viene introdotto l’uso della lingua del popolo al posto della lingua latina;
– non vi è sacerdozio fuori di quello che possiedono tutti i battezzati. Il celebrante, dunque, non è un sacerdote diverso da come lo è il popolo, ma soltanto presidente di un’assemblea di fedeli che è essa stessa a celebrare il memoriale;
– viene cambiata la formula della consacrazione: scompare ogni distinzione tonale (“segretamente”), gestuale (“chinato sopra l’Ostia”) e tipografica appunto perché non esiste distinzione, tutto è narrazione, ricordo di un qualcosa avvenuto in passato, avvenuto una volta e basta.
Il Concilio di Trento ci ha ricordato gli elementi obbligatori della fede cattolica circa la S. Messa, condannando così le negazioni protestanti.
Anzitutto afferma che la S. Messa è un sacrificio vero e proprio, nel quale sotto le apparenze sensibili del pane e del vino si offre dal sacerdote a Dio sull’Altare, il Corpo e il Sangue di Cristo istituito nell’Ultima Cena, quando Gesù costituì gli apostoli sacerdoti e con essi i loro successori e diede loro il potere di offrire questo sacrificio.
La S. Messa non è solo un sacrificio di lode o di ringraziamento o soltanto una commemorazione del sacrificio della Croce, ma anche ed essenzialmente un sacrificio propiziatorio:¹ Esso rinnova e perpetua il Sacrificio del Calvario. Gesù Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini, già vissuti, viventi e che vivranno, per soddisfare il debito della pena che esigeva la giustizia divina offesa dal loro peccato.
La S. Messa, come rinnovazione e perpetuazione del Sacrificio della Croce, è dunque anch’essa un vero sacrificio espiatorio e applica la soddisfazione della Croce per la remissione dei nostri peccati e della pena ad essi dovuta.
Il Concilio di Trento insegna ancora che sulla Croce e nella Messa una sola e identica è la vittima e identico è colui che allora offrì se stesso una sola volta sulla Croce; soltanto è diverso il modo di offrire: nella Messa s’immola in modo incruento per il ministero dei sacerdoti. Vi è identità tra la Santa Messa e il sacrificio della Croce, perché tanto sul Calvario che nella Messa una sola è la vittima e un solo sacerdote principale: Gesù Cristo; vi è anche diversità, ma solo nel modo di compierlo. Sulla Croce Cristo offrì direttamente se stesso e in modo cruento, sanguinoso; sull’Altare si offre indirettamente per mezzo dei sacerdoti e in modo incruento, senza spargimento di sangue, sotto le apparenze del pane e del vino offerte e consacrate separatamente. Gesù Cristo sulla Croce, dando volontariamente il suo Sangue, meritò ogni grazia per noi; invece sull’Altare Egli, senza spargere sangue, si sacrifica e si annienta misticamente e sacramentalmente, nel senso che le specie del pane significano il sacrificio del suo Corpo e quelle del vino lo spargimento del suo Sangue. In quanto vengono consacrate e offerte separatamente rappresentano la reale separazione del Corpo dal Sangue nella morte avvenuta sulla Croce. Il sacerdote celebrante, quale celebrante in Cristo, ci applica qui ed ora i meriti del sacrificio della Croce.
Non bisogna pensare dunque che la Santa Messa sia un nuovo sacrificio di Cristo, poiché Egli «si è offerto una volte per tutte allo scopo di togliere i peccati» (Eb 9, 28). Ma è anche vero che «Egli, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta; è sempre vivo per intercedere a nostro favore» (Eb 7,24-25; Rom 8,34). Il Sacrificio della Messa, dunque, non vanifica il Sacrificio della Croce, perché non è un altro Sacrificio.
I padri del Concilio sapevano perfettamente che la maggior parte dei fedeli che allora assistevano alla Messa non sapevano il Latino e neppure potevano leggere la traduzione essendo generalmente analfabeti ed illetterati. Ma sapevano anche che la Messa contiene molte parti di istruzioni per i fedeli. Tuttavia essi non approvarono la opinione dei Protestanti che fosse indispensabile celebrare la Messa solo in vernacolo [= in lingua volgare].
Al fine di favorire l’istruzione dei fedeli, il Concilio ordinò di mantenere ovunque l’antica tradizione approvata dalla Santa Chiesa Romana, la quale è madre e maestra di tutte le chiese, di aver cura cioè di spiegare alle anime il mistero centrale della Messa.
La lingua latina è, in primo luogo, una lingua sacra e solenne: aiuta il fedele ha comprendere la grandezza dell’evento che nella Messa si realizza (il rinnovarsi del Sacrificio del Calvario). Si tratta di un evento straordinario, non comune, che necessita, per essere espresso, di un linguaggio non comune, straordinario. Il latino ha questa caratteristica. Il latino, inoltre, quale lingua non soggetta ad evoluzione, rappresenta una precisa garanzia dell’ortodossia e della universalità o cattolicità della Chiesa, dell’immutabilità del dogma (cfr. Eb 13,8-9), compromessa dalle molteplici e non sempre felici traduzioni, peraltro bisognose di continui aggiornamenti.
¹Significa che il sacrificio della Messa viene offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità
fonte: http://www.parrocchiasanmichele.eu/