di Federico Catani
A poco più di cinquant’anni dalla morte, Papa Giovanni XXIII (1958-1963) è diventato santo.
Di Angelo Giuseppe Roncalli si è arrivati a costruire un’immagine mitica, quasi abbia rappresentato l’inizio di una nuova Chiesa, più vera e più evangelica.
La figura di Papa Giovanni è diventata, grazie a storici “cattolici” ultra-progressisti come Alberto Melloni, il simbolo di un papato rivoluzionario, opposto a secoli e secoli di Tradizione.
Senza entrare nel merito della canonizzazione, che ormai è cosa fatta, in questa sede vogliamo svelare alcuni lati sottaciuti di Roncalli.
In tal modo, si avrà un ritratto più completo del nuovo santo.
Senza dubbio Giovanni XXIII ha inaugurato un nuovo modo di vivere e percepire il papato. Non si possono negare le sue aperture e il suo riformismo, sia nello stile, sia nel linguaggio, sia nell’atteggiamento da tenere nei confronti delle grandi questioni ecclesiali.
E, fermo restando il rispetto e la venerazione per un Papa santo, ci permettiamo di far notare che molte ingenuità e molti romanticismi (se così li vogliamo considerare) di Roncalli non hanno per nulla giovato alla Chiesa.
L’ottimismo verso il futuro, il clima di dialogo inaugurato, l’apertura del Concilio Vaticano II, la predilezione per la “medicina della misericordia”non hanno prodotto gli effetti sperati.
Eppure non sembra fossero queste le intenzioni di Giovanni XXIII. Papa Roncalli, infatti, eccettuate aperture opinabili, si potrebbe classificare come un Pontefice che ha scelto la via della sana riforma.
La Chiesa infatti non è un fossile e non può fermarsi per ogni aspetto a un dato momento storico, altrimenti dovremmo stare ancora nelle catacombe.
Giovanni XXIII ha approvato documenti e compiuto gesti che Melloni e soci tentano in ogni modo di nascondere e che la gente comune ignora bellamente.
Innanzitutto “il Papa Buono” nutrì sempre stima e venerazione per il suo immediato predecessore Pio XII, il Papa più citato nei documenti del Vaticano II.
Una vera e propria devozione, poi, Giovanni XXIII l’aveva per Pio IX, l’ultimo Papa Re, il simbolo della lotta al liberalismo e della difesa del potere temporale della Chiesa, di cui sperava di celebrare la solenne beatificazione a conclusione del Concilio Vaticano II, che peraltro nei suoi piani sarebbe dovuto durare qualche mese. Nell’allocuzioneGaudet Mater Ecclesia, tenuta l’11 ottobre 1962 ad apertura dei lavori conciliari, oltre a punti discutibili come l’attacco ai cosiddetti “profeti di sventura” e l’esortazione a usare la “medicina della misericordia” (data la situazione odierna, si può tranquillamente affermare che il Pontefice prese una cantonata colossale), Giovanni XXIII disse che “il ventunesimo Concilio Ecumenico (…) vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica. (…)
Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli”.
E poi, ancora: “Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.
Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione”.
Si può e si deve discutere sulla validità e sull’efficacia della nuova stretegia pastorale adottata dalla Chiesa (i risultati sono magrissimi e spesso orribili), ma di certo Papa Giovanni non intendeva cambiare la dottrina cattolica.
Bisogna poi aggiungere che, vista la piega che stava prendendo l’assise conciliare, sul letto di morte Giovanni XXIII invitò a chiudere presto il Concilio, confidando nel card. Giuseppe Siri.
Lo hanno attestato l’arcivescovo di Londra Heenan e varie altre sicure testimonianze private, non viziate dall’ideologia “vaticanosecondista”.
Al contempo, nonostante un nuovo discutibile approccio, Giovanni XXIII non mutò la posizione della Chiesa nei confronti del comunismo.
Già da cardinale, Roncalli aveva annotato nel suo diario (28 ottobre 1947): “Fra Carlo Marx e Gesù Cristo l’accordo è impossibile”.
Inoltre, il 4 aprile 1959, il Sant’Uffizio, con approvazione del Papa, ebbe a precisare che non era lecito “ai cittadini cattolici dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o candidati che, pur non professando princìpi contrari alla dottrina cattolica o anzi assumendo il nome cristiano, tuttavia nei fatti si associano ai comunisti e con il proprio comportamento li aiutano”.
A questa posizione, stemperata purtroppo da fattive e mediatiche aperture a sinistra, che destano serie perplessità, si deve aggiungere che Roncalli già da vescovo, lodò il Concordato del 1929 ed ebbe parole di elogio, seppur equilibrato, per il Duce, ribadendo che, nonostante tutto, “il gran bene da lui fatto all’Italia resta”.
Nel 1954, in pieno clima antifascista, ribadì la gratitudine verso Mussolini per aver portato a conclusione i Patti Lateranensi ed esortò ad affidare la sua anima “al mistero della misericordia del Signore, che nella realizzazione dei suoi disegni suole scegliere i vasi più acconci all’uopo, e a opera compiuta li spezza, come se non fossero stati preparati che per questo. (…)
Rispettiamo anche i pezzi del vaso infranto e rendiamo utili per noi gli insegnamenti che di là ci provengono”.
Il 25 aprile 1955, poi, alla faccia di chi ancora oggi cavalca il mito della Resistenza, Roncalli, allora Patriarca di Venezia, invitò a pregare per tutte le vittime della guerra, “a propiziazione di tutte queste anime che si sono sacrificate da una parte e dall’altra della barricata”.
Oltre a ciò, il nuovo santo era un estimatore di Giovannino Guareschi, giornalista non certo progressista e il cui anti-comunismo era radicale: ebbene, non soltanto leggeva le sue opere, ma le regalava pure e addirittura gli propose di redigere un Catechismo.
Offerta che il padre di don Camillo respinse, non sentendosi all’altezza.
Infine, bisogna ricordare la posizione di Giovanni XXIII sullo Stato di Israele.
Nel 1943, rivolgendosi alla Segreteria di Stato, così scriveva: “Confesso che questo convogliare, proprio la Santa Sede, gli ebrei verso la Palestina, quasi alla ricostruzione del regno ebraico, incominciando dal farli uscire d’Italia, mi suscita qualche incertezza nello spirito.
Che ciò facciano i loro connazionali ed i loro amici politici lo si comprende.
Ma non mi pare di buon gusto che proprio l’esercizio semplice ed elevato della carità della Santa Sede possa offrire l’occasione o la parvenza a che si riconosca in esso una tal quale cooperazione, almeno iniziale e indiretta, alla realizzazione del sogno messianico.
Tutto questo però non è forse che uno scrupolo mio personale che basta aver confessato perché sia disperso.
Tanto e tanto è ben certo che la ricostruzione del regno di Giuda e di Israele non è che un’utopia”.
Queste le parole del santo Pontefice.
Venendo agli aspetti spirituali e di Magistero di s. Giovanni XXIII, egli firmò un’Enciclica che non viene mai menzionata (guarda caso!), la Grata Recordatio (26 settembre 1959), tutta dedicata al Santo Rosario, preghiera che il Papa amava molto e raccomandava, confidando che recitava le tre corone quotidianamente. Un vero e proprio colpo mortale per chi pensa che la preghiera del Rosario sia superata o adatta solo a vecchiette bigotte. Non bisogna poi dimenticare la Lettera apostolica Inde a primis (30 giugno 1960), con la quale Giovanni XXIII promuoveva e rilanciava il culto al Preziosissimo Sangue di Gesù (culto che nel giro di dieci anni praticamente scomparì, venendo meno anche la festa liturgica). C’è poi uno dei testi meno noti di Papa Roncalli, un documento scomodo, approvato pochi mesi prima dell’apertura del Concilio, il 22 febbraio 1962: la Costituzione apostolica Veterum Sapientia. Si tratta del documento che riafferma con forza l’uso del latino come lingua immutabile della Chiesa, lingua da studiare nei seminari, da impiegare nei documenti e negli atti ecclesiastici e, soprattutto, nella liturgia. Anche in questo caso, in meno di dieci anni tutto fu stravolto e l’apertura alla lingua volgare nella Messa si trasformò, di fatto, in completa abolizione del latino. Ma tale non era la volontà di Papa Giovanni.
A tal proposito, circa lo stravolgimento che ha subìto la liturgia dopo il Concilio, occorre notare che è proprio di Giovanni XXIII l’ultima edizione del Messale Romano “tridentino” (1962), che ancora oggi, grazie al Motu proprio Summorum Pontificum, i fedeli e i sacerdoti legati alla Messa antica possono usare. Se Roncalli avesse avuto in mente di rivoluzionare la celebrazione della Messa, non avrebbe pubblicato quel Messale, in cui peraltro fece aggiungere il nome di San Giuseppe nel Canone (anche questa scelta fu senza dubbio di orientamento tradizionale).Con Giovanni XXIII, pertanto, non vi furono strappi liturgici e quel che fu modificato (già a partire dalla riforma della Settimana Santa di Pio XII) rientrava nell’ottica di una giusta riforma nella continuità: maggior spazio (peraltro già prima del Concilio) al vernacolo, incentivazione della Messa dialogata, soppressione di ottave ridondanti, e così via. Si dovrebbe domandare a certi tradizionalisti che storcono il naso anche di fronte al Messale del 1962 a cosa vorrebbero ritornare. Al Messale di Pio IX? A quello di Innocenzo III? A quello di Gregorio Magno? Oppure direttamente a san Pietro? Un conto è avere riserve sul Novus Ordo, che effettivamente, pur valido, è stato uno stravolgimento della liturgia cattolica e che andrebbe corretto quanto prima, altro è non accontentarsi mai e sognare l’immobilismo liturgico, che nella storia della Chiesa non c’è mai stato. Ecco perché non sarebbe un sacrilegio proporre di tornare al Messale “provvisorio” del 1965, frutto del Concilio, accettato, fin quando non cadde nel dimenticatoio, persino da mons. Marcel Lefebvre. Altra nota da considerare è che sì, Papa Giovanni tolse l’aggettivo perfidisriferito ai Giudei nella preghiera del Venerdì Santo, ma continuò a pregare per la loro conversione a Cristo senza ambiguità e senza che nessuno né oggi né allora protestasse, sia tra gli ebrei sia tra i cattolici. Tra l’altro, in difesa di Papa Roncalli e per ribadire che la riforma del 1970 è andata oltre quanto egli stesso pensava, va detto che quando era nunzio apostolico a Parigi, guardando gli altari di alcune chiese francesi girati per permettere al sacerdote di celebrare rivolto ai fedeli, disse che si trattava di “innovazioni liturgiche che poco mi piacciono”, ideate da “teste ardenti e un po’ bislacche”. Nella IV Domenica di Quaresima del 1963, a Ostia, ebbe ad esclamare: “sono molto contento di essere arrivato fin qua ma se mi debbo esprimere con un desiderio, vorrei che in chiesa non ridiate, non battiate le mani e non salutiate neanche il Papa”. E ancora, in tempi, come i nostri, in cui si esalta la povertà e la semplicità (in realtà trattasi di misero pauperismo) specie nel culto (che è dovuto a Dio e dunque dovrebbe prevedere la massima cura), nessuno sembra voler rammentare che Giovanni XXIII ha sempre usato la sedia gestatoria, i flabelli, il baldacchino, mitrie e paramenti preziosi, ricche croci pettorali, le pantofole rosse papali, la mozzetta bordata di ermellino, la tiara e persino il camauro! Se fosse stato così avanguardista come sostengono Melloni e compagnia cantante, avrebbe gettato tutto via (come purtroppo avvenne in seguito). E invece no. Anzi, non abolì nemmeno la Guardia nobile!
Anche la visione giovannea del sacerdozio era pienamente tradizionale. Nel Sinodo romano che si tenne nel 1960 furono stabilite rigide norme per il clero. I preti erano obbligati a portare sempre non solo la talare, ma anche il soprabito o almeno il ferraiolo e il cappello, non dovevano mai comparire in pubblico alla guida di un’automobile con a bordo una donna, fosse pure una parente, né andare al teatro, al cinema o allo stadio. Norme, come ognuno può vedere, assai rigide, ma assai significative se si pensa all’immensa dignità del sacerdozio e alla sua sacralità. Non è un caso che modello di Giovanni XXIII fu sempre il santo Curato d’Ars. D’altronde, che Roncalli concepisse il sacerdozio in maniera cattolica (e non simil-protestante come avviene oggi) lo si evince anche da come affrontò alcune questioni spinose. Sui preti operai fu, è vero, troppo cauto, nonostante avesse approvato il 3 luglio 1959 un decreto del Sant’Uffizio in cui tale esperienza veniva considerata incompatibile con la visione tradizionale del sacerdozio, ordinandone una graduale conclusione. In effetti, Papa Roncalli non condivise mai del tutto simili iniziative. Da nunzio a Parigi, scrisse sulla sua agenda, il 24 marzo 1952, che questi fenomeni erano “segno evidente di un difetto di sollecitudine nei Seminari: manca l’applicazione agli antichi princìpi di disciplina ecclesiastica”.
Giovanni XXIII si occupò anche di don Lorenzo Milani, idolo ancora oggi di tutti i progressisti. Ebbene, nel 1958 il libro del sacerdote fiorentinoEsperienze pastorali venne censurato dal Sant’Uffizio. Del resto, Roncalli, da cardinale ebbe a scrivere, circa don Milani e il suo testo: “L’autore del libro deve essere un povero pazzerello scappato dal manicomio. Guai se si incontra con qualche confratello della sua specie! (…) Ab insidiis diaboli libera nos, Domine!”. Ci fu poi il casoTeilhard de Chardin. La condanna delle sue opere risale al 1962, sette anni dopo la sua morte. I motivi del monito del Sant’Uffizio andavano trovati nell’evoluzionismo filosofico e teologico di Teilhard de Chardin. Un altro duro colpo, quindi, al pensiero progressista e modernista.
Insomma, senza negare alcuni punti deboli, Giovanni XXIII è stato tutt’altro che il Papa rivoluzionario e progressista descritto dall’informazione mainstream. San Giovanni XXIII è stato sì il Papa del Concilio, ma con la tiara e la Messa tridentina.
da campariedemaistre.com