È stata un successo la due giorni organizzata dal CNSP il 29 e 30 marzo scorsi a Verona.
Particolarmente intensa la giornata di sabato. Alle 13,30 si sono riuniti presso la Sala Zanotto della Basilica di S. Zeno i rappresentanti ben 15 Coetus Fidelium del Triveneto (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige) e dell’Emilia-Romagna, per un vivo scambio di opinioni circa lo “stato” della S. Messa tradizionale nelle diverse regioni interessate. Erano presenti anche i promotori regionali del CNSP avv. Cristiano Gobbi (Triveneto) e avv. Marco Sgroi (Emilia-Romagna), nonché il Presidente Nazionale di Una Voce Italia, prof. Fabio Marino.
È stata probabilmente la prima occasione in cui i rappresentati dei Coetus del Triveneto hanno potuto incontrarsi e conoscersi, e ne è scaturito un ampio dibattito, nel corso del quale non solo ciascuno ha potuto illustrare la storia – talora purtroppo travagliata – dell’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum nella propria diocesi, ma, soprattutto, è emerso il vivo desiderio di coltivare e sviluppare fraterni rapporti di collaborazione nella promozione e diffusione della liturgia tradizionale, avviando anche qualche iniziativa comune. A tal proposito, il promotore CNSP del Triveneto avv. Gobbi si è riservato di proporre ai Coetus un’iniziativa da realizzare in occasione del centenario del beato transito di S. Pio X.
Alla riunione ha fatto seguito l’importante conferenza di don Roberto Spataro SDB, organizzata in collaborazione con Una Voce Verona Sez. S. Pietro Martire, dal tema “La riscoperta della liturgia tradizionale dopo il Summorum Pontificum. Le ragioni per conoscere ed amare la Messa Tridentina”. Poiché il testo integrale della conferenza viene pubblicato a parte, ci limitiamo qui a sottolineare che la relazione di don Spataro, svoltasi davanti ad un pubblico numeroso ed attentissimo, ha ispirato molteplici interventi, protrattisi per oltre un’ora. Va sottolineata con gratitudine la presenza alla conferenza di mons. Giancarlo Grandis, vicario diocesano per la cultura, che ha portato il saluto del Vescovo di Verona, Monsignor Giuseppe Zenti, intervenendo poi al termine con interessanti considerazioni circa la rinnovata sensibilità delle giovani generazioni, anche sacerdotali, per la tradizione della Chiesa.
Il giorno successivo, 30 marzo, don Spataro ha celebrato la S. Messa della domenica Laetare nella Rettoria di S. Toscana, particolarmente affollata di fedeli. Nell’omelia, don Spataro ha svolto una profonda meditazione sulla gioia cristiana.
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La riscoperta della liturgia tradizionale dopo il Summorum Pontificum.
Le ragioni per conoscere ed amare la Messa Tridentina
di don Roberto Spataro SDB
Gentilissime Signore, Distinti Signori, Cari Amici,
è per me motivo di onore prendere la parola questa sera dinanzi ad una platea composta da credenti sinceri e fervorosi con cui condivido lo stesso amore per la Messa tridentina e – ne sono certo – la venerazione per il Papa emerito, Benedetto XVI, che con il suo Motu proprio Summorum Pontificum ha messo a disposizione della Chiesa quel tesoro di dottrina e di pietà che è il Messale del 1962.
Sono pertanto molto grato a tutti coloro che sono presenti e a coloro che con grande dispendio di energie hanno promosso questa benemerita iniziativa che si tiene a Verona, città nobilitata dalla sua tradizione cristiana, simbolicamente esaltata dall’episodio delle Pasque veronesi.
Proporrò una serie di riflessioni nate in parte dallo studio, in parte e, direi, soprattutto, dall’esperienza.
A. Il titolo della conferenza fa riferimento, anzitutto, alla riscoperta della Liturgia dopo la pubblicazione del SP. È un dato evidente che tale riscoperta si stia verificando tra fedeli e sacerdoti in molteplici aree geografiche con una consistente e significativa percentuale di giovani e persone di media età. A quanto mi consta, non esistono statistiche ufficiali e rigorose. Ed è pure meglio. Contarsi talvolta nasconde un po’ di orgoglio e di prepotenza. Tuttavia, il fatto è documentato. È sufficiente visitare siti e blog che riportano notizie relative alla celebrazione della liturgia secondo la forma straordinaria del rito romano per rendersi conto del fenomeno sul quale vorrei proporre tre considerazioni.
1) Anzitutto, esso interessa un numero crescente di fedeli che costituiscono, però, nell’insieme dei cattolici praticanti, una minoranza estremamente esigua, dotata però, si badi bene, di robustezza di motivazioni, di vivacità nell’azione, talvolta di disponibilità alla militanza. Sono queste alcune delle caratteristiche delle cosiddette “minoranze creative”, una categoria desunta dal pensiero di A. Toynbee ed applicata dall’allora cardinal Ratzinger alla rievangelizzazione dell’Europa secolarizzata. Pensando alla storia della Chiesa, ci accorgiamo che minoranze creative hanno effettivamente rigenerato il tessuto ecclesiale e apportato un benefico influsso sulla società intera, in momenti di crisi profonda ed estesa dei valori e dei costumi. Pensiamo al manipolo delle prime generazioni di monaci cluniacensi che furono protagonisti di un movimento liturgico nel sec. X così descritto da Benedetto XVI:
Si volle garantire il ruolo centrale che deve occupare la Liturgia nella vita cristiana. I monaci cluniacensi si dedicavano con amore e grande cura alla celebrazione delle Ore liturgiche, al canto dei Salmi, a processioni tanto devote quanto solenni e, soprattutto, alla celebrazione della Santa Messa. Promossero la musica sacra; vollero che l’architettura e l’arte contribuissero alla bellezza e alla solennità dei riti; arricchirono il calendario liturgico di celebrazioni speciali come, ad esempio, all’inizio di novembre, la Commemorazione dei fedeli defunti; incrementarono il culto della Vergine Maria. E, grazie al movimento monastico cluniacense, si creò un robusto tessuto spirituale ed etico che collegò i popoli dell’Europa.
2) In secondo luogo, le minoranze tendono a curare, talvolta a difendere, la loro identità. E questo contribuisce ad un approfondimento e ad un’appropriazione più convinta dei tratti che definiscono l’identità. Per questo motivo, essendo passati ancora pochissimi anni dalla nascita del movimento SP, i fedeli e le comunità che celebrano con il Messale del 1962 sono in una fase di maturazione. Non è forse questa l’esperienza che molti di noi fanno? La formazione liturgica che cerchiamo di acquisire, da soli o in compagnia, gli effetti nella nostra vita spirituale, ed anche l’organizzazione stessa delle celebrazioni, ci stanno aiutando a comprendere che dalla e con la liturgia tradizionale si costruisce uno stile di vita cristianotout court.
3) Infine, non vorrei tacere sul fatto che le minoranze che hanno adottato la forma straordinaria del rito romano non sempre incontrano comprensione, nonostante gli autorevoli incoraggiamenti giunti dal motu proprio. Anche questo fatto è, secondo me, assolutamente non irrilevante. La storia della Chiesa, infatti, ci mostra questa legge costante: le opere di Dio, affidate a pochi, soprattutto all’inizio, sono contrastate ed in genere coloro che frappongono ostacoli sono i fratelli nella fede, che pure agiscono, il più delle volte, con rette intenzioni. Dio si serve di anche questo misterioso dinamismo per purificare e consolidare.
B. Giungo ora alla seconda parte della riflessione che intendo condividere con Voi. Quante volte abbiamo risposto a chi ci domandava il motivo del nostro amore per la Messa tridentina le ragioni che ci sembrano importanti! Ecco, pensando a degli ideali interlocutori, a credenti come noi che si chiedono quale valore possa avere una “Messa in latino” officiata da un prete che volge le spalle ai fedeli, vorrei dire quanto sottopongo anche alla Vostra comprensiva attenzione. Sono cinque i motivi.
1) Anzitutto, partirei dal Magistero del Papa Francesco. Infatti, oltre al dato oggettivo dell’autorità del Supremo Pastore, si ottiene quasi sicuramente la benevolenza del nostro ideale interlocutore, verosimilmente affascinato dalla figura dell’attuale Pontefice. Papa Francesco chiede insistentemente – si pensi agli appelli contenuti nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium – uno slancio missionario che induca o alla rievangelizzazione dei battezzati per cui la fede è diventata irrilevante o all’evangelizzazione di chi non ha ricevuto l’annuncio esplicito. Sotto questo punto di vista, la Messa tridentina offre moltissime risorse. Con le sue caratteristiche ben note a tutti noi, la sacralità, l’orientamento ad Deum, l’affermazione della condizione creaturale dinanzi al Creatore e al Redentore, l’uso di un linguaggio simbolico e sinestetico completo (la liturgia tridentina coinvolge tutti i sensi interni ed esterni dell’uomo), la concentrazione del messaggio, è una sorta di annuncio fondamentale del Vangelo che colpisce chi lo riceve, teologicamente ed antropologicamente potente. Credo che sia significativa la leggenda che racconta la conversione del principe Vladimir al Cristianesimo che segnò l’ingresso nella famiglia cristiana del popolo russo. Inviò i suoi emissari nel mondo circostante per informarsi su quale fosse la vera religione. Quando essi tornarono, riferirono che a Costantinopoli, nella Basilica della Hagia Sophia, avevano assistito alla splendida liturgia orientale e ne avevano tratto una conclusione: “non sapevamo se fossimo ancora sulla terra o fossimo già in Cielo”. Sì, cari amici, c’è tanto bisogno di evangelizzare il mondo e la liturgia ben celebrata è un mezzo potente perché è Dio stesso che agisce sulla terra. Permettetemi di citare il testo, in una mia personale traduzione, della 35a proposizione finale del Sinodo dei Vescovi del 2012, dedicato proprio all’evangelizzazione e troppo presto dimenticato per parlare del prossimo sinodo, oggetto di un ambiguo bombardamento mediatico.
La degna celebrazione della Sacra Liturgia, il più prezioso dono di Dio a noi, è la sorgente della più alta espressione della nostra vita in Cristo. È perciò l’espressione primaria e più potente della nuova evangelizzazione. Dio desidera manifestarci la bellezza incomparabile del suo amore infinito ed incessante per noi per mezzo della Sacra Liturgia, e noi, per nostra parte, desideriamo utilizzare ciò che abbiamo di più bello nell’azione di adorazione di Dio in risposta al suo amore. L’evangelizzazione nella Chiesa invoca una liturgia che elevi i cuori degli uomini e delle donne a Dio. La liturgia non è solamente un’azione umana ma un incontro con Dio che conduce alla contemplazione e ad un’amicizia che si va approfondendo con Dio. In questo senso, la liturgia della Chiesa è la migliore scuola della fede.
Non c’è nessuno che non pensi che, mentre viene data questa definizione della liturgia e ne viene illustrata la sua forza intrinseca, in quanto essa è un’azione divina, per il successo dell’evangelizzazione e del consolidamento della fede, non abbia associato quelle parole ai riti venerabili nella loro sobrietà, solenni nella loro semplicità, divini nella loro bellezza della Messa tridentina. Sì, cari Amici, lo affermiamo con gioia e con convinzione: ci sarà un grande slancio evangelizzatore e missionario, quello che Papa Francesco ci chiede, se ci sarà una diffusione della Messa tridentina.
2) Vengo ad una seconda ragione. Anch’essa mi viene ispirata dall’attuale Pontificato. Non a torto, si suole dire che al Papa teologo è succeduto un Papa pastore che sta orientando anche la teologia verso la pastorale. Che cos’è la pastorale, in definitiva? Essa è prendersi cura delle anime, delle persone, secondo un linguaggio più corrente, biblicamente simbolizzate nella figura della pecora. La cura delle anime – a me piace utilizzare ancora questa categoria che in fondo tutti capiscono bene -, non significa forse comunicare il bene più grande che è la Grazia divina? E qual è la sorgente della Grazia divina, se non il Sacrificio della Croce che misticamente si rinnova nella celebrazione della Messa? Ebbene, poiché la mistica del sacrificio incruento si dispiega attraverso il linguaggio dei segni, cioè il linguaggio sacramentale, quanto più esso sarà comprensibile, tanto più l’anima sarà disposta alla ricezione del bene, cioè della Grazia divina. Forse, potrà sorprendere quanto dico, ma a me sembra che il linguaggio liturgico della Messa tridentina sia maggiormente comprensibile. Naturalmente, bisogna precisare qual è il contenuto da comprendere. Abbiamo detto poco fa: è la Grazia divina, dunque, un bene spirituale, altro da quanto umanamente sperimentiamo nella vita quotidiana, un bene spirituale che sorprende, come sorpresa fu Maria Santissima, la “piena di grazia”, all’annuncio dell’Angelo, un bene spirituale che ci chiede un’accoglienza intrisa di stupore, adorazione, gratitudine, silenzio, di quegli atteggiamenti, cioè, che il fedele coltiva nell’actuosa participatio favorita dalla Messa tridentina. Insomma, il bene delle anime ci richiede una Messa, sorgente delle grazie, in cui la Grazia nella sua alterità di dono divino sia percepita come tale.
A tal proposito, vorrei ricordare quanto ho letto tempo fa su un articolo apparso in un blog in lingua spagnola, suggeritomi da un confratello spagnolo e che, purtroppo, non ho registrato. Il nocciolo del ragionamento era il seguente: il fedele laico che partecipa regolarmente alla Messa tridentina, si sforza di vivere, per quanto egli riesca, nella sua debolezza umana, comune a noi tutti, i doveri – ed usiamo pure questa parola senza timore -, della sua vita cristiana: dalla fedeltà agli obblighi assunti con il sacramento del Matrimonio all’onestà e alla coerenza nell’esercizio della sua professione. Lungi da noi stabilire classifiche di cristiani di serie A e serie B perché grazie a Lui, c’è il Padre Eterno che può stabilire queste graduatorie, e lo fa con immensa misericordia, come giustamente insiste il Papa Francesco, però è un dato oggettivo che i fedeli laici che amano la Messa tridentina trovano, evidentemente, risorse spirituali abbondanti per essere sposi fedeli, genitori fecondi, educatori responsabili, cittadini onesti, credenti obbedienti e caritatevoli con il prossimo, penitenti che si confessano frequentemente. Con i tempi che corrono, questa è merce tanto preziosa quanto rara! Questa è anche la mia esperienza: i fedeli che io conosco e che amano la Messa tridentina appartengono in genere a questa categoria. Mi è così venuta in mente una domandina: non è che nella colluvie di progetti pastorali, piani di intervento, itinerari e cammini di vario genere, partoriti spesso da loquaci burocrazie ecclesiastiche, che non sembrano sortire molti effetti, non sia opportuno proporre un’iniziazione alla liturgia tradizionale? Videant consules.
3) Terza ragione. Adesso parlerò della mia categoria: i preti. Io penso che, globalmente, la situazione sia buona, se paragonata con altre epoche della storia della Chiesa, almeno qualitativamente, perché quantitativamente regioni vastissime sono afflitte dalla penuria di sacerdoti e dunque di Messe. L’impianto formativo è buono, seminario, ratio studiorum, formatori ed accompagnatori. Certo, le situazioni variano da regione a regione, talvolta da diocesi a diocesi. Tra i punti deboli che riscontro nel prete medio c’è una preparazione culturale debole, per mille motivi, e, spesso, alla fine del percorso formativo, una preparazione teologica lacunosa, superficiale, disordinata. Mi spiego: è lacunosa perché alcune materie non vengono studiate, come l’apologetica (ed i risultati si vedono, il mondo prende a pesci in faccia il Cristianesimo e i preti non sanno che cosa rispondere) o l’angelologia (e molti preti non sanno come si fa un esorcismo, ammesso che credano all’esistenza del demonio che sta facendo stragi, e meno male che Papa Francesco ce lo sta ricordando frequentemente); è superficiale perché sono incapaci di accedere alle fonti della teologia, in latino e in greco, e devono affidarsi alle mediazioni culturali di traduzioni e sommari; è disordinata perché studiano moltissime materie, corsi e corsetti, ma manca un impianto trinitario-cristocentrico, che dovrebbe essere quello del Catechismo della Chiesa Cattolica, fede/liturgia/morale/vita spirituale. Ora, se un prete diventa familiare con il Messale, fa ogni giorno un ripasso formidabile di teologia: c’è tutto l’essenziale, in uno schema ordinato, con accesso alla fonte delle fonti che è il Messale in latino. Nel Messale del 1962 trova tanta Bibbia, basti pensare ai Salmi che costituiscono l’impianto delle antifone, trova la rilettura della Scrittura fatta dai Padri nel patrimonio eucologico, ripercorre i misteri della storia della salvezza, si imbatte nelle categorie portanti della fede pensata lungo i secoli in cui è stato formulato il dogma: creazione, peccato, redenzione, santificazione, vita eterna. Ed attenzione, non è una teologia verbosa, un po’ arrogante, spesso noiosa, come talvolta accade nelle aule di una facoltà teologica, ma è una teologia quasi silenziosa come il Canone, umile perché in ginocchio, affascinante perché vissuta con il Corpo di Cristo tra le mani.
E poi la Messa tridentina è una scuola eccellente di pietà sacerdotale. Accenno solo ad un elemento. I preti hanno sempre fretta. Di fretta, entrano in sacrestia, di fretta indossano i paramenti (forse, è questa una delle ragioni perché sono stati ridotti all’essenziale e qualche volta manco quello), di fretta salgono sull’Altare. La Messa tridentina chiede al prete di recitare delle bellissime preghiere mentre si veste, prima di lasciare la sacrestia, quando sta dinanzi all’altare. Entra in una dimensione del tempo dove non c’è più ragione per andare di fretta. Luci di eternità lo avvolgono. È l’augurio che faccio a tutti i miei confratelli sacerdoti: conoscere la Messa tridentina, la sua teologia e la sua spiritualità che brucia di Spirito Santo!
4) Quarta ragione. C’è da essere pessimisti o ragionevolmente ottimisti per come stanno andando le cose nel mondo? A dir la verità, quando indugiamo a fare l’elenco delle cose che non vanno, abbiamo sempre timore di essere tacciati di essere “profeti di sventura”. Non mi avventuro in queste considerazioni perché, da una parte non vorrei peccare contro la seconda delle virtù teologali, dall’altra perché bisognerebbe essere dei tuttologi per capire come stanno le cose. E di tuttologi ce ne sono già tanti. Volentieri lascio il mestiere a loro. Di una cosa, però, cari Amici, sono certo. Al demonio e a ai suoi satelliti è stata lasciata una grande libertà di azione negli ultimi tempi. È una convinzione che nasce dal colloquio con gli esorcisti che avrebbero tante cose da dirci. Non è forse luciferina la pretesa di misconoscere l’armonia della creazione, in cui è stabilita la differenza dei sessi, sottrarsi a questo ordine e gridare, ogni giorno di più, anche a bambini innocenti: “Non oboediam”? Non è satanico l’odio che ha introdotto nel vocabolario una nuova parola, cristianofobia, e che provoca, secondo il sociologo Introvigne, la morte violenta di un cristiano ogni 5/6 minuti di ogni giorno? Insomma, il demonio sta agendo e, quando opera, ha una vittima prediletta: la Chiesa. Pazzo per la rabbia, non potendo far nulla contro lo Sposo, se la prende con la Sposa. Bisogna difendersi, altrimenti le botte le prendiamo tutti e ci facciamo male. Bene, la Messa tridentina, piaccia o no, ha un linguaggio sacramentale oggettivamente più completo ed efficace per contrastare l’azione del demonio. Non ha le esitazioni razionalistiche di un altro Messale nel chiamare per nome il maligno e nel chiedere a Dio Padre di aiutarci nella lotta. Anzi, a pensarci bene, siccome il sacerdote che offre il sacrificio agisce in persona Christi, chi supplica il Padre di sostenere la Chiesa contro il demonio è Gesù Cristo stesso, è Nostro Signore. Da soli che cosa possiamo fare? Schieriamo i fucili contro i missili? Allora, il combattimento lo pratichiamo agli ordini del Generale, Gesù Cristo, anzi lo facciamo svolgere a Lui. E non siamo mai soli, ci sono i Santi e gli Angeli del Cielo, compreso l’Arcangelo Michele che il Papa Leone XIII volle fosse invocato alla fine di ogni Messa. Chi sa, forse, se riprendessimo a farlo, con il Vetus e il Novus Ordo, le cose non andrebbero un po’ meglio?
5) Mi avvio alla conclusione. Accenno alla quinta ragione. La Messa tridentina è bella. E lavia pulchritudinis è un eccellente itinerarium in Deum. È bella la sua lingua, la lingua sacra per eccellenza, il latino, è bella la disposizione dell’altare con il Crocifisso in posizione centrale e non il prete che, per quanto avvenente possa essere, non può paragonarsi al Crocifisso, è bella l’atmosfera di raccoglimento, sono belli i canti, è bella l’umiltà dei fedeli in ginocchio dinanzi alla balaustra, è bella la fede che traluce nello sguardo degli anziani che sanno di adorare Colui che li ha accompagnati nelle varie stagioni della vita e li accoglierà in Cielo, Lui che scende sull’Altare proprio per questo, è bella l’innocenza dei bambini che, qualche volta si annoieranno, ma non dimenticheranno mai che, se il papà e la mamma sono inginocchiati, Colui dinanzi al quale si inginocchiano è più importante del papà e della mamma, è bella la pietà dei giovani che all’inizio del rito ripetono quelle parole immortali ad Deum qui laetificat iuventutem meam, è bella la testimonianza del prete che, nel suo ministero ce la mette tutta per far del bene alla gente, ma, anche se non ci riesce, alla fine della Messa, quando recita il Placeat, sa che ha fatto per loro la cosa più importante, è bella la comunione con i santi del Paradiso che si invocano frequentemente per onorarli e per chiedere l’intercessione, soprattutto Maria Santissima, è Lei bellissima, la Regina del Cielo, che, sul Calvario ha accolto Giovanni l’apostolo, ed in ogni Messa, rinnovazione incruenta del Sacrificio della Croce, come la Messa tridentina solamente sa inculcarci, ci sta accanto. A Lei affido i desideri che portiamo nel cuore perché si diffonda la Messa tridentina, restituita generosamente alla Chiesa da un Papa grande, Benedictus Magnus, ad laudem et gloriam Nominis sui, ad utilitatem quoque nostram totiusque Ecclesiae suae Sanctae.