Omelia di Padre Konrad zu Loewenstein – Venezia, Domenica 22 Ottobre 2006
Per valutare i meriti di un rito di Messa bisogna prima considerare la natura della Messa. Ora, la Santa Messa è nient’altro che il Santo Sacrificio del Calvario: il sacerdote è lo stesso, ossia Gesù Cristo nella persona del celebrante; la vittima è la stessa, ossia Gesù Cristo sotto l’apparenza del pane e del vino. Lo stesso sacerdote, la stessa vittima: lo stesso sacrificio. Ogni rito di Messa della Chiesa Cattolica rende presente questo sacrificio; ci sono molti riti, tra i quali il rito bizantino, il rito ambrosiano, il rito siro-malabarese, il rito nuovo di Paolo VI, ma per valutare un rito particolare bisogna chiedersi quanto esso è adeguato al Sacrificio del Calvario.
Sacrificio, umiltà e riverenza
Quanto al rito romano antico dobbiamo subito constatare che esso è molto adeguato al sacrificio del Calvario e questo in tre modi generali, cioè il rito antico manifesta chiaramente la natura sacrificale della Messa, e la debita umiltà e riverenza di coloro che partecipano a questo Sacrificio. Il rito antico manifesta la natura sacrificale della Messa innanzitutto nel suo uso di un altare sacrificale (piuttosto di una tavola) che contiene le reliquie dei martiri, un altare sacrificale in posizione sopraelevata (come suggerisce l’etimologia del termine altare, ovvero alta ara) che rappresenta il monte Calvario; manifesta la natura sacrificale della Messa nel suo uso costante dei termini “sacrificio” e “oblazione”, e nei moltissimi segni di croce. Il rito antico manifesta l’umiltà in parecchi modi, tra cui i due Confiteor, con il loro ricorso agli angeli e ai santi, la preghiera Domine non sum dignus per tre volte prima della Santa Comunione, il battersi il petto tre volte nel Confiteor e nel Domine non sum dignus e la Comunione in ginocchio e sulla lingua – perché la Santa Comunione non è un oggetto qualsiasi di cui ci si appropria, ma Iddio Stesso che si riceve, in tutta indegnità, umiliazione e raccoglimento. Il rito antico manifesta anche la riverenza in tutti questi modi e, inoltre, nei moltissimi inchini e genuflessioni del celebrante; nella sua attenzione a non lasciar cadere alcun frammento, neppure il più piccolo del Santissimo Sacramento, a tenere chiuse le dita e a purificare scrupolosamente la patena, il corporale, le dita, e similmente anche il calice. Questi tre aspetti del rito antico: la sua chiara manifestazione del sacrificio, dell’umiltà, della riverenza vengono espressi in modo esemplare nella preghiera Placeat Tibi, recitata dal celebrante verso la fine della Santa Messa con un profondo inchino: «Sia a Voi gradito, o Santa Trinità, l’ossequio della mia servitù, e concedete che il Sacrificio da me indegno offerto agli occhi della Vostra maestà, sia accetto a Voi e fecondo di bene per Vostra bontà a me e a tutti coloro ai quali l’ho offerto, per Cristo Signore nostro. Così sia».
La posizione del celebrante, il latino, il silenzio
Consideriamo adesso tre modi particolari in cui il rito antico è adeguato al Santo Sacrificio del Calvario, cioè la posizione del celebrante, l’uso del latino, e il silenzio. Questi tre elementi sono stati oggetto di critica da parte di coloro che non amano questo rito.Il primo elemento viene criticato con frasi come: «Il prete dà le spalle ai fedeli». La risposta semplice a questo è: «Il prete dà la faccia a Dio». Abbiamo visto che la santa Messa è il Sacrificio del Calvario. Questo sacrificio, nelle parole di San Giovanni della Croce, è il Sacrificio di Dio, da Dio, a Dio: è il Sacrificio che nostro Signore Gesù Cristo fa di se stesso a Dio Padre. Durante la Santa Messa il celebrante (nella persona di Cristo) offre questo Sacrificio a Dio realmente presente nel tabernacolo e rappresentato in croce. Non offre il sacrificio al popolo, ma con il popolo e per il popolo, come significa anche la parola “liturgia”, che significa “l’opera (ergon) per il popolo (laos)” e questo spiega la posizione del celebrante che sta a capo del popolo rivolto come loro e con loro verso Iddio. Criticare questa posizione del celebrante è come criticare un avvocato che non sta di fronte ai suoi clienti nel tribunale. Sarebbe una critica assurda, perché l’avvocato deve presentare il suo caso al giudice per i suoi clienti, e dunque deve essere rivolto al giudice come i suoi clienti e con i suoi clienti che si trovano quindi dietro di lui. Il secondo elemento, l’uso del latino, viene criticato con frasi come: «Nessuno capisce il latino». La risposta a questo è che, in realtà, alcuni lo capiscono, e molti capiscono almeno qualche elemento, come le preghiere, Gloria in excelsis Deo, Agnus Dei; e tuttavia ci sono libretti con traduzioni per aiutarci a capire, e ci sono stati sempre. E’ pur vero che il latino esige un certo sforzo per i fedeli, ma ci sono buoni motivi per fare questo sforzo. Un primo motivo sarebbe che il latino è una lingua sacra, maggiormente adeguata al Santo sacrificio della Messa che è un’opera di Dio che trascende assolutamente tutte le cose di questo mondo; un secondo motivo è che il latino è una lingua immutabile, e perciò conviene al Santo Sacrificio che è anch’esso immutabile e reso presente nella sua forma identica con ogni celebrazione della Messa; un terzo motivo è che il latino è una lingua tradizionale che ci unisce con la Santa Messa come fu celebrata nel corso dei secoli; un quarto motivo è che il latino è una lingua universale per tutti coloro che pregano secondo il rito romano, proprio come il sacrificio del calvario è un sacrificio universale: per tutti gli uomini – almeno per tutti gli uomini che vogliono accettarlo. Fino a poco tempo fa un fedele poteva andare a Messa in qualsiasi paese del mondo: Polonia, Cina, Olanda, Germania ecc. e mediante questo rito essere unito agli altri cattolici presenti, ed essere accolto nel seno consolante della madre Chiesa. Infatti in quanto il latino è tradizionale e universale può unire tutti i cattolici di rito romano di tutte le nazioni e di tutte le epoche. Il latino è una lingua sacra, immutabile, tradizionale e universale, e per questo è più adeguato al Sacrificio della Messa, così come lo è alla Chiesa e al Cattolicesimo stesso.Si può aggiungere che rigettare il latino dalla Messa significa rigettare anche la più bella musica del mondo, la quale fu scritta per la Chiesa: il canto gregoriano e le opere di musica dei più grandi compositori classici, la qual musica è stata bandita dalla Chiesa e profanata, confinandola nelle sale da concerto e negli studi di registrazione. Ci si può chiedere se la critica della posizione del celebrante e del latino non contenga qualcosa di egocentrico: «Io voglio che il celebrante si indirizzi a me e voglio capire subito». Perché nella Santa Messa non si abbassa qualcosa a livello dell’uomo, ma ci si innalza a livello di Dio; non si rimane rinchiusi nella propria umanità, ma si esce da se stessi verso la Divinità; non ci si appropria, ma si dà di se stessi; non si domina, ma ci si umilia davanti alla Maestà infinita di Dio. E non si tratta tanto di conoscere, quanto di amare. Difatti la santa Messa, il Sacrificio del Calvario sono una cosa che non riusciremo mai a comprendere completamente. Se il latino è un modo eccellente per esprimere ciò che possiamo capire, il resto è silenzio. Ora, le persone che non apprezzano il silenzio, che dicono: «Non si dice niente, non si fa niente, non si partecipa», trascurano che il silenzio rende possibile ciò che è più grande delle parole o dei gesti, che permette una partecipazione più profonda nei santi misteri della Messa: ossia la contemplazione e l’adorazione di Dio, l’umiliazione di se stessi e l’offerta di se stessi a Dio. «Fa silenzio e sappi che sono Iddio».
Opera perfetta e mistero