Prefazione dell’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio al libro di Gianfranco Amato ”L’indulto di Agatha Christi”
In questo suo ultimo lavoro l’amico Gianfranco Amato mette in luce un episodio poco noto nel mondo cattolico italiano e legato alla tradizione liturgica della Chiesa. Si tratta dell’appello rivolto a Paolo VI per salvare la Messa Tridentina sottoscritto il 6 luglio 1971 da cinquantasette esponenti del mondo culturale inglese, tra i quali la nota scrittrice Agatha Christie, il cui nome è stato successivamente associato all’indulto concesso dallo stesso Pontefice. Interessanti appaiono le motivazioni per cui personaggi distanti dalla Chiesa Cattolica decisero di intercedere per la sopravvivenza della Messa secondo l’usus antiquor, ma ancora più interessanti sono le considerazioni che Amato trae utilizzando come spunto la vicenda del cosiddetto Indulto di Agatha Christie, e che possono essere articolate su tre piani.
Il primo riguarda l’analisi storica della profonda avversione ideologica dei Riformatori protestanti, ed in particolare di quelli anglicani, nei confronti della celebrazione liturgica della Messa cattolica, in quanto espressione suprema del dogma della transustanziazione. Quella celebrazione, così come gli atti devozionali tipicamente cattolici, quali ad esempio l’adorazione eucaristica, rappresentano uno dei punti di massima inconciliabilità tra le due confessioni cristiane. Ed è un punto di fondamentale importanza giacché attiene alla presenza reale e concreta di Cristo nella celebrazione eucaristica. Questo aspetto di particolare importanza ci ricorda, peraltro, come il doveroso dialogo ecumenico con i fratelli separati non possa passare attraverso una dimensione affettiva e sentimentale, ma debba sempre tenere presente l’imprescindibile imperativo missionario della Chiesa Cattolica. Non si può, infatti, cedere all’aut-aut di alcuni irenici ecumenisti: o missione o dialogo. La missione per la Chiesa Cattolica non è un’iniziativa tra le tante, ma rappresenta, secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, il dinamismo della sua «autorealizzazione»: la Chiesa diventa sempre più sé stessa, quanto più vive la sua missione, cioè il suo impegno a plocamarsi quale unico luogo di salvezza.
Pensare che l’annuncio della fede cattolica come il solo possibile instrumentum salutis riduca la libertà dei nostri interlocutori significa cedere totalmente alla mentalità laicista che domina il mondo di oggi, e che ritiene la verità oppressiva della libertà. Non può esistere, in realtà, una via alla salvezza che possa prescindere dall’avvenimento di Cristo, dall’incontro con Lui, dalla sequela di Lui e dalla conversione a Lui, così come è presente misteriosamente, fino alla fine dei tempi, nella Sua Chiesa che è il Suo Corpo e il Suo Sacramento.
Il secondo piano in cui si inseriscono le considerazioni contenute in questo interessante saggio di Amato riguarda alcuni abusi liturgici che hanno purtroppo caratterizzato il periodo postconciliare. In effetti la riforma liturgica introdotta dopo il Concilio Vaticano II si è sostanziata, il più delle volte, di pseudo-interpretazioni, o ha fatto valere casi eccezionali come norma: basti per tutti il problema della lingua, o quello della distribuzione della comunione sulla mano. Ci sono stati veri e propri colpi di mano delle Conferenze episcopali nei confronti di Roma, così come c’è stata certamente una debolezza della reazione vaticana, dovuta probabilmente a tensioni e contro-tensioni anche all’interno delle strutture che dovevano regolare l’interpretazione esatta e la corretta attuazione del Concilio.
Il terzo ambito in cui si possono suddividere le argomentazioni di Amato riguarda la natura propria della liturgia cattolica, la quale non si può declassare ad un semplice atto di culto elevato dall’uomo a Dio, come accade nella stragrande maggioranza delle formulazioni religiose naturali. La liturgia cattolica è piena attuazione dell’avvenimento della vita, passione, morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, che prende forma nell’organismo sacramentale e coinvolge i fedeli in senso sostanziale e fondamentale, facendoli appartenere a Cristo e alla Sua Chiesa attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana, e poi li accompagna nelle grandi scelte e nelle grandi stagioni della loro vita. La liturgia difende la fattualità di Cristo e della Chiesa. Per questo ho molta gratitudine verso il professor Roberto De Mattei per il suo straordinario volume sulla storia del Vaticano II, ed in particolare per le pagine dedicate a quel lento e inesorabile processo di “socializzazione” della liturgia, già prima del Concilio: come se il valore della liturgia fosse nella possibilità che il cosiddetto popolo cristiano partecipasse attivamente a un evento che era poi svuotato di fatto della sua sacramentalità e finiva per essere un’iniziativa di socialità cattolica. E’ proprio sulla liturgia, infatti, che si gioca la verità della fede perché in quel particolare ambito si evidenzia la grande alternativa che Benedetto XVI ha posto all’inizio della sua enciclica Deus caritas est: il cristianesimo non è un’ideologia di carattere religioso, non è un progetto di carattere moralistico, ma è l’incontro reale e concreto con Cristo che permane e si svolge nella vita della Chiesa e nella vita di ogni cristiano.
La grandezza della liturgia cattolica è dara dal fatto di rendere Cristo presente nel flusso e nel riflusso delle generazioni: «Hoc facite in meam commemorationem». Per questo la difesa di una coscienza esatta del dogma dipende dalla verità con cui viene vissuta la liturgia. In questo senso da sempre la Chiesa ha affermato che «lex orandi, lex credendi»: è la legge del pregare che fa nascere la legge del credere, ma soprattutto che la vigila in maniera adeguata e positiva. Ecco perché ogni tentativo di estenuare o ridurre la coscienza della presenza di Cristo a tutto vantaggio della modalità con cui la comunità è presente, equivale ad una perdita del valore ultimo della liturgia, del valore ontologico, direbbe il mio maestro don Giussani, e quindi metodologico ed educativo.
Per questo, come ho avuto modo di ribadire nel telegramma inviato, a nome della Diocesi di San Marino-Montefeltro, il 22 dicembre 2007 al Santo Padre Benedetto XVI, le direttive impartite dallo stesso Pontefice nel Motu Proprio «Summorum Pontificum» rappresentano una più ampia possibilità di educazione del popolo cristiano ad una fede che divenga realmente forma della persona e presenza viva nell’intera società.