XXX – ULTIMO VANGELO
Data la benedizione, il sacerdote si porta in cornu Evangelii, e legge il prologo del Vangelo di san Giovanni.
Un tempo il sacerdote, non tenendo dinanzi il libro, faceva il segno di croce sull’altare prima di farlo su se stesso. Le tavolette sulle quali sono scritte le preghiere dell’ordinario della Messa, ad eccezione del Canone, e che noi nondimeno chiamiamo canoni da altare, sono d’uso recentissimo. Dacché s’incominciarono ad usare, s’introdusse la pratica di fare, su quella che contiene il Vangelo di San Giovanni, il segno di croce, sebbene il sacerdote possa farlo anche ora sull’altare, che è figura di Cristo morto per noi sulla croce del quale questo Vangelo narra la duplice generazione.
Ma perché questa lettura? Tale uso risale al Medioevo. In quell’epoca, come nei primi secoli, i fedeli avevano grande devozione a far recitar una parte del Vangelo, dando la preferenza al prologo di San Giovanni. Questa domanda si moltiplicava talmente che i sacerdoti non potevano più bastare, e allora si credette più semplice leggerlo ovunque alla fine della Messa. È stata dunque soltanto la devozione del popolo fedele che ha dato origine a quest’uso. Quando si celebra l’Ufficio d’un Santo, in giorno di domenica o di feria, che ha un Vangelo proprio, il sacerdote legge alla fine della Messa questo Vangelo ed omette quello di san Giovanni (19). Ciò è conseguenza del costume introdotto di legger il Vangelo all’altare alla fine della Messa. Tale pratica, introdotta a partire da san Pio V, non rientra nel pontificale, poiché il Pontefice legge sempre e in tutti i casi il Vangelo di san Giovanni scendendo dall’altare. Va notato che in questa frase del Vangelo di san Giovanni: Omnia per ipsum facta sunt… la Chiesa latina ha seguito sino a san Pio V un modo di puntuazione differente da quello che segue la Chiesa greca. Sant’Agostino e tutti i Padri latini, ultimo san Tommaso, leggevano così: Sine ipso factum est nihil. Quod factum est, in ipso vita erat, et vita erat lux hominum. San Giovanni Crisostomo e, in generale, i Padri greci leggevano: Sine ipso factum est nihil quod factum est. In ipso vita erat, et vita erat lux hominum. Poiché i manoscritti non hanno né punti, né virgole, in quanto questi segni cominciarono ad esser usati solo più tardi, da qui viene la diversità di punteggiatura. San Pio V, nell’edizione del suo Messale, aveva conservato per questo passo la punteggiatura latina, ma, poco tempo dopo di lui, s’introdusse in Occidente l’uso di leggerlo come lo leggevano i Greci. Giunto alle parole del Vangelo di san Giovanni: Et Verbum caro factum est, il sacerdote fa la genuflessione per onorare l’annientamento del Verbo fatto carne, che “si annichili, prendendo la forma di servo” (FU 2,7). Terminato il Vangelo, il sacerdote discende dall’altare, dopo aver salutato la croce e, riandando in sacrestia sotto voce, recita il cantico Benedicite (Dn 3,57-88) con le altre preghiere di ringraziamento indicate nel Messale.
NOTE
19) Secondo il Messale del 1962, come ultimo Vangelo, in tutte le Messe, si legge l’inizio del Vangelo secondo Giovanni. Tuttavia, nella II domenica di Passione o delle Palme, in tutte le Messe che non seguono la benedizione e processione delle palme, si dice un ultimo Vangelo proprio. Inoltre, l’ultimo Vangelo si omette del tutto: a) alle Messe in cui si è detto Benedicàmus Domino; b) nella festa della Natività del Signore, alla terza Messa; c) nella II domenica di Passione o delle Palme, alla Messa che segue la benedizione e processione delle palme; d) alla Messa della Vigilia pasquale; e) alle Messe dei defunti seguite dall’assoluzione sul tumulo; f) alle Messe che seguono certe consacrazioni, secondo le rubriche del Pontificale romano.