XXV – ORAZIONI PRIMA DELLA COMUNIONE
Segue ora l’orazione della pace: Domine Jesu Christe, qui dixisti Apostolis tuis: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis: ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesia tuae: eamque secundum voluntatem tuam pacificare et coaudunare digneris: qui vivis et regnas Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.
Questa è la formula con la quale il sacerdote domanda per i fedeli la pace e l’unione nella carità, nel momento in cui stanno per partecipar ai santi misteri. Quest’orazione non si dice nelle Messe dei defunti. Quando è terminata, il celebrante da la pace al diacono, e questi, a sua volta, al suddiacono, incaricato di portarla al coro. Se il celebrante è un vescovo, da la pace al sacerdote assistente, che a sua volta la porta al coro, mentre il diacono e il suddiacono la ricevono direttamente dal prelato. Quanto al celebrante, prende la pace baciando l’altare vicino all’Ostia santa. È il Signore stesso che gliela dona. Per dare la pace ci si può servire d’una placca di metallo prezioso, che per questo si chiama instrumentum pacis (17); in tal caso il celebrante, dopo aver baciato l’altare, bacia questa placca. Se si trovano tra gli assistenti all’augusto Sacrificio qualche principe o principessa o qualche gran personaggio che si vuoi onorare, sì porta loro líinstrumentum pacis, che essi baciano a loro volta.
Abbiamo già fatto notare che non si da la pace nelle Messe dei defunti: la medesima cosa si osserva il Giovedì Santo per protestare contro il bacio di Giuda, col quale Nostro Signore fu tradito e consegnato ai suoi nemici. Tale cerimonia si omette ugualmente il Sabato Santo, mantenendo così l’antico costume che si praticava quando la Messa si celebrava di notte: il gran numero dei neofiti avrebbe potuto esser occasione di confusione. E poi il Signore non rivolse ai suoi discepoli riuniti le parole Fax vobis, se non alla sera della Risurrezione. Per questo la Chiesa, volendo rispettare le più piccole circostanze della vita del suo celeste Sposo, omette nella Messa del Sabato Santo il canto dell’Agnus Dei, che richiederebbe il dona nobis pacem, e tralascia anche la cerimonia del bacio di pace, che non si riprende se non alla Messa del giorno di Pasqua.
Il sacerdote aggiunge all’orazione precedente altre due orazioni. Quelle che oggi figurano nel Messale sono d’origine moderna, quantunque contino già mille anni. Un tempo, ciò che si diceva in questo momento apparteneva alla tradizione, come pure le preghiere dell’Offertorio, perciò tali orazioni non si trovano nel Sacramentario di san Gregorio, che contiene soltanto i prefazi, il Canone, le collette, le secrete ed i postcommunio. Tutto il resto si trasmetteva per tradizione e variava secondo le Chiese. Tra queste diverse orazioni si sono scelte quelle che figurano oggi nel Messale, e devono dirsi sempre, anche quando si sopprime l’orazione della pace.
La prima delle suddette orazioni incomincia così: Domine Jesu Christe, Fili Dei vivi, qui ex voluntate Patris, cooperante Spiritu Sancto, per mortem tuam mundum vivificasti. Vediamo con questa orazione come nella morte di Nostro Signore agisca tutta la Santissima Trinità; il Padre vi mette la sua volontà: ex voluntate Patris lo Spirito Santo vi coopera ed assiste l’umanità di Nostro Signore nell’offerta che fa di se stessa: cooperante Spiritu Sancto. Ma proseguiamo nell’orazione: libera me per hoc sacrosanctum Corpus et Sanguinem tuum ab omnibus iniquitatibus meis, et universis malis. La prima cosa che dobbiamo desiderare, ricevendo la santa Comunione, è di vederci interamente liberi dai nostri peccati. E, poiché non ci preoccupa solamente il momento presente, domandiamo d’essere liberati da tutti i mali anche futuri, aggiungendo la seguente petizione che riguarda l’avvenire: et fac me tuis semper inhaerere mandatis, et a te numquam separari permittas: qui cum eodem Deo Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas Deus in saecula saeculorum. Amen. Così a Dio che viene in noi nella santa Comunione domandiamo tre cose: in primo luogo di liberarci dai nostri peccati; poi d’essere sempre fedeli ai suoi Comandamenti; infine, di non permettere mai d’essere separati da Lui.
Segue la terza orazione: Percepito Corporis tui, Domine Jesu Christe, quod ego indignus sumere praesumo, non mini proveniat in judicium et condemnationem. Si fa qui allusione alle parole di san Paolo sulla santa Comunione contenute nella sua prima Lettera ai Corinzi: Qui enim manducai et bibit indigne, judicium sibi manducai et bibit (11,29). L’orazione termina così: sed prò tua pietate prosit mihi ad tutamentum mentis et corporis, et ad medelam percipiendam: qui vivis et regnas… Vi è, evidentemente, in questa orazione una dimenticanza dei liturgisti che l’hanno composta. In tutte le altre si ha cura speciale di menzionar il Corpo e il Sangue di Cristo, mentre qui non si parla che del Corpo. Questa orazione, dunque, potrebbe sembrare poco necessaria, se la sua utilità non apparisse dall’uso che se ne fa nella funzione del Venerdì Santo. In questo giorno, infatti, il sacerdote si comunica sotto la sola specie del pane, ma non offre il santo Sacrificio. Per l’immolazione della Vittima sarebbero necessarie le due specie, del pane e del vino. Ma, nel giorno del gran Venerdì, il ricordo del gran Sacrificio compiuto sul Calvario preoccupa talmente il pensiero della Chiesa che rinunzia a rinnovarlo sull’altare, limitandosi a partecipar al mistero sacro per mezzo della Comunione. E questa orazione, di cui stiamo parlando, è quella che si usa al momento della Comunione, escludendo la precedente, che fa menzione del Sacrificio. Questa medesima preghiera può essere molto opportunamente utilizzata da tutti i fedeli che si apprestano a ricevere la santa Comunione.
Terminate queste orazioni, il sacerdote dice le seguenti parole, desunte dal salmo 115: Panem caelestem accipiam, et nomen Domini invocabo, “prenderò il pane celeste e invocherò il nome del Signore”. Quando la santa Chiesa può attingere dai salmi, lo fa sempre, perché sono per essa la vera sorgente, il modello e il tipo della preghiera.
Pronunziate queste parole, il sacerdote prende con la mano sinistra le due parti dell’Ostia, sotto la quale tiene la patena, e, battendosi il petto per tre volte, dice: Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum die verbo, et sanabitur anima mea. Queste parole sono quelle che il Centurione rivolse a Nostro Signore quando andava a guarire il suo servo. E qui di nuovo dobbiamo far notare la cura con cui la Chiesa è andata scegliendo i passi più belli delle Sacre Scritture per incastonarli nella Santa Messa come ricchissimi diamanti. Diciamo, dunque, anche noi: Domine, non sum dignus… Quanto a noi, non chiediamo la guarigione d’uno dei nostri servi. No, imploriamo soccorso per la nostra stessa anima, e queste parole sono com’un supremo appello rivolto a Dio. Abbiamo un gran bisogno di essere guariti, e quanto più ci avviciniamo al Signore, che solo può sanarci, tanto più deve crescere la nostra confidenza. È vero che la nostra indegnità ci riempie di confusione e di vergogna; ma chi è potente come Dio? Non dobbiamo che domandargli umilmente: Sed tantum die verbo, et sanabitur anima mea, “ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà guarita”.
NOTE
17) «L’instrumentum pacis, per lo più in argento o in metallo cesellato, spesso rappresentante la Pietà o la Crocifissione, non serve ormai che a portare la pace ai dignitari ecclesiastici presenti alle Messe lette e, secondo l’usanza di molte chiese, ai novelli sposi, durante la Messa nuziale»: M. RIGHETTI, op. cit., vol. I, pp. 386-387.