Un pellegrinaggio veramente straordinario

Per illustrare queste meravigliose giornate del Pellegrinaggio UNA CUM PAPA NOSTRO, culminate con la Processione verso San Pietro e con la S. Messa Pontificale, abbiamo deciso di pubblicare un bellissimo commento ricevuto da un anonimo pellegrino.

 

Sono reduce dalla partecipazione al pellegrinaggio “Una cum Papa nostro”, e non riesco ad astenermi dal formulare qualche considerazione a caldo, nella speranza che un così importante avvenimento prolunghi nel tempo i suoi frutti.

Nato dal desiderio di dare visibile sostegno ai sempre più numerosi e sempre più autorevoli pastori che, anche ai vertici della Chiesa, sostengono e promuovono la diffusione della liturgia tradizionale, le circostanze – apparentemente avverse; in realtà, io credo, del tutto provvidenziali – hanno trasformato il pellegrinaggio nella manifestazione spontanea e, vorrei dire, indifesa della fede, della lealtà, dell’entusiasmo, della tenacia e della speranza di tutti quei fedeli che, provenendo da origini spesso molto diverse tra loro, vedono nella Messa di sempre (è giusto chiamarla così, ad onta di tutte le precisazioni ed i distinguo storici e filologici, perché è la Messa che ci congiunge senza soluzione di continuità alle origini della Chiesa e della sua liturgia) la fonte perfetta della loro santificazione, l’espressione intatta della fede della Chiesa, la manifestazione completa della loro adesione alla Sacrificio Eucaristico e la realizzazione vera di quella actuosa participatio che troppo spesso ci si affanna a cercare dove non è, confidando solo nelle povere risorse dell’umana fantasia. Per questo è stato il pellegrinaggio del popolo – o, se preferite, della famiglia – del Summorum Pontificum: il pellegrinaggio in cui potevano porsi fraternamente l’uno accanto all’altro – e, grazie a Dio, è stato largamente così – sia quanti hanno trovato nel Motu Proprio il coronamento di un combattimento spesso pluridecennale, sia coloro che hanno scoperto solo da cinque anni una ricchezza della quale, senza il Summorum Pontificum, probabilmente non sarebbero mai venuti a conoscenza.

Pur avendo davanti agli occhi la realtà concreta dei fedeli, provenienti davvero da tutto il mondo, che si sono radunati a Roma, dobbiamo sempre ricordare che il pellegrinaggio non voleva rispondere alla domanda che, pure, talora noi stessi ci facciamo e molti altri, dall’esterno, ci fanno: siamo un movimento, un popolo, una famiglia?… questa domanda merita, però, un po’ di attenzione – anche se fosse solo per dire che è mal posta – perché ciascuno di noi deve sentire la responsabilità di svolgere nella Chiesa il ruolo che la Provvidenza, nonostante i nostri tanti demeriti, ci assegna. Non ho certo la pretesa di fornire la risposta, e nemmeno di avviare una riflessione – men che meno una discussione. Dico solo che la giornata conclusiva del pellegrinaggio mi è parsa “figura” di quello che è – o dovrebbe essere – il presente ed il prossimo futuro dei fedeli della Messa di sempre. Abbiamo iniziato in pochi, in San Salvatore in Lauro, in adorazione davanti al Santissimo Sacramento; abbiamo recitato il Rosario e l’Angelus, abbiamo ricevuto la benedizione eucaristica;  dopo tre ore di adorazione, siamo usciti nella città, tra l’iniziale indifferenza degli astanti, apparentemente trascurabili e marginali (come siamo spesso considerati); abbiamo cantato a squarciagola le litanie dei santi, gli inni della tradizione, e, infine, il credo; siamo cresciuti di numero solo camminando per le strade, e in via della Conciliazione eravamo già più del doppio rispetto all’inizio; in piazza San Pietro ci eravamo davvero moltiplicati; poi siamo entrati in Basilica, dalla porta principale, attraversando la navata centrale tra lo stupore dei presenti: tutto questo con un misero altoparlante da processione rionale e con messalini stampati quasi in economia e portati pressoché a spalle da alcuni volonterosi fedeli.

Probabilmente, a molti tutto ciò è parso e continuerà ad apparire una debolezza, un’infelice espressione di ingenuo pressapochismo organizzativo: ma riuscire a raggiungere l’obiettivo – pur nella consapevolezza di quanto avrebbe potuto esser fatto meglio – contando, in buona sostanza, solo sulle forze che sono sorte spontaneamente dai coetus fidelium, ha forse dimostrato quanto i fedeli della Messa di sempre possono effettivamente realizzare, solo che si sforzino di uscire sempre più allo scoperto e non rinuncino ad occupare il posto che spetta loro, ad iniziare dalle parrocchie.

Il tonante Deo gratias dei fedeli che, all’Ite, ha riempito tutta la Basilica di San Pietro (lo si può ascoltare in internet) mi è parso la dimostrazione sonora che i fedeli del Summorum Pontificum hanno preso sul serio il fatto di non essere di troppo nella Chiesa: non riusciamo a vederci come cattolici di serie B, perché – pur gravati dal peso dei nostri peccati – non crediamo di avere una fede di serie B, né di amare una liturgia di serie B. E, non essendo figli di serie B, ci aspettiamo che i nostri pastori non si comportino con noi come padri di serie B.

Non so se sia appropriato dire che il Motu Proprio – del quale con il Pellegrinaggio abbiamo celebrato il quinto anniversario – è l’editto di Costantino della liturgia tradizionale, anche se lo trovo suggestivo; sono convinto, però, che siamo noi a dover credere per primi che, per la Messa di sempre, il tempo delle catacombe è finito, ed avere la forza di abbandonare i timori e le diffidenze che esse inevitabilmente comportano. È con questo spirito che abbiamo partecipato al pellegrinaggio “una cum Papa nostro”: non è uno spirito di rivincita, ma – come usa dire oggi – di servizio, e preghiamo che esso riesca a fortificarci per contrastare il Giuliano l’Apostata nel quale potremmo sempre imbatterci, e a favorire, se Dio vorrà, un futuro editto di Teodosio.

Un pellegrino

Il cardinale Cañizares: «Celebro in rito antico per far comprendere che è normale usarlo»

Il cardinale Cañizares spiega perché ha accettato di presiedere in San Pietro la messa di sabato per i fedeli del pellegrinaggio «Una cum Papa nostro»

di Andrea Tornielli

«Ho accettato volentieri di celebrare la messa di sabato prossimo per i pellegrini venuti a ringraziare il Papa per il dono del motu proprio Summorum Pontificum: è un modo per far comprendere che è normale usare la forma straordinaria dell’unico rito romano…». Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, risponde così alla domanda di Vatican Insider sul significato della celebrazione che avrà luogo sabato prossimo, 3 novembre, alle ore 15, presso l’altare della Cattedra nella basilica di San Pietro. Proprio questa mattina, il portavoce del pellegrinaggio intitolato «Una cum Papa nostro» ha annunciato la presenza alla celebrazione anche dell’arcivescovo Augustine Di Noia, vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Qual è il senso di questo pellegrinaggio?

 «È quello di rendere grazie a Dio e di ringraziare il Papa per il motu proprio di cinque anni fa, che ha riconosciuto il valore della liturgia celebrata secondo il messale del beato Giovanni XXIII sottolineando la continuità della tradizione nel rito romano. Riconoscendo la liturgia precedente si comprende che nel riformare non si nega ciò che era in uso precedentemente».

Perché ha accettato di celebrare la messa per i pellegrini che seguono il rito preconciliare?

«Ho accettato perché è un modo per far comprendere che è normale l’uso del messale del 1962: esistono due forme dello stesso rito, ma è lo stesso rito e dunque è normale usarlo nella celebrazione. Ho già celebrato diverse volte con il messale del beato Giovanni XXIII e lo farò volentieri anche questa volta. La Congregazione della quale il Papa mi ha chiamato ad essere Prefetto non ha nulla in contrario all’uso della liturgia antica, anche se il compito proprio del nostro dicastero è di approfondire il significato del rinnovamento liturgico secondo le direttive della costituzione Sacrosanctum Concilium e dunque di metterci sulla scia del Concilio Vaticano II. A questo proposito bisogna dire che anche la forma straordinaria del rito romano deve essere illuminata da quella costituzione conciliare, che nei primi dieci paragrafi approfondisce il vero spirito della liturgia e dunque vale per tutti i riti».

Cinque anni dopo come giudica l’attuazione del motu proprio Summorum Pontificum?

«Non conosco nei dettagli ciò che avviene nel mondo, anche perché la competenza su questo è della Commissione Ecclesia Dei, ma credo che poco a poco si cominci a comprendere come la liturgia è fondamentale nella Chiesa e noi dobbiamo ravvivare il senso del mistero e del sacro nelle nostre celebrazioni. Inoltre mi sembra che a cinque anni di distanza si possa meglio comprendere come non si tratti soltanto di alcuni fedeli che vivono nella nostalgia del latino, ma che si tratti di approfondire il senso della liturgia. Tutti siamo Chiesa, tutti viviamo la stessa comunione. Il Papa Benedetto XVI lo ha spiegato molto bene e nel primo anniversario del motu proprio ha ricordato che “nessuno è di troppo nella Chiesa”».

da vaticaninsider.lastampa.it

Un pellegrinaggio “straordinario”

di Isacco Tacconi
Il gioco di parole è quanto mai azzeccato, perché quello previsto per il 3 novembre è un pellegrinaggio sui generis. Non si dovranno percorrere lunghe distanze attraverso territori impervi infestati da tartari e predoni sanguinari, anche se la mèta è sempre la stessa, il cuore della cristianità: Roma, la città eterna, sede del vicario di Cristo.
Lo spirito che animerà questo evento è lo stesso che nel glorioso Medioevo mosse i fedeli cattolici ad incamminarsi verso i luoghi santi, chi per espiare le proprie o altrui colpe, chi per ringraziare il buon Dio, chi per impetrare una grazia particolare, chi per liberare il Santo Sepolcro. Una situazione che, a guardar bene, conserva delle analogie trasversali con l’attuale crisi di fede in seno alla Chiesa. Forse oggi il Sepolcro non sarà occupato con le armi come allora, ma certo non si potrà negare che esso è caduto in una sorta di oblio che ci ha fatto perdere di vista il senso della nostra fede di cui parla san Paolo: “Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”(1Cor 1,23). Già, perché per Santo Sepolcro non si intende soltanto il luogo della deposizione ma anche e soprattutto il Tabernacolo, il Santo dei Santi, dove risiede Cristo Eucaristia in corpo, sangue, anima e divinità vivo e vero! Come non riconoscere tristemente che Egli oggi è proprio il “Grande Assente”, troppo spesso accantonato, trascurato quando non dimenticato in cappelline laterali nelle nostre chiese, chissà perché, vuote.
L’occasione che ha spinto organizzazioni e movimenti da tutto il mondo a riunirsi intorno al Santo Padre Benedetto XVI è innanzitutto il rinnovo della fedeltà e del sostegno all’opera intrapresa dal Sommo Pontefice con la promulgazione nel 2007 del Motu Proprio “Summorum Pontificum”, con il quale liberalizzava la celebrazione della Santa Messa che a me piace affettuosamente definire “di sempre”. Questa Messa interamente in latino, da sempre lingua ufficiale e liturgica della Chiesa, e caratterizzata da numerosi momenti di silenzio è conosciuta però anche come rito “Antico” o, più tecnicamente, formaExtraordinaria dell’unico rito latino. Negli ultimi anni sono fioriti un po’ ovunque nella Chiesa gruppi di fedeli che, sulla scia di questa iniziativa del Santo Padre, hanno riscoperto la bellezza della forma “Straordinaria” del rito latino, proprio a causa della ricchezza di segni e di simboli di cui essa è gravida e che attraverso i secoli l’hanno abbellita e impreziosita sia da un punto di vista puramente estetico, sia da un punto di vista teologico e teofanico. Ѐ infattievidente, per coloro che ne fanno esperienza, l’impatto immediatamente visivo di sacralità, di alterità, in definitiva di trascendenza che emana dalla Santa Messa celebrata nella forma “Straordinaria”, che introduce i credenti nella dimensione, passatemi il gioco di parole, “straordinaria” del Mistero Salvifico di Cristo nel momento in cui il Cielo scende sulla terra e Dio si incarna tra le mani del sacerdote.
Anche per questo l’appellativo “straordinario” si rivela appropriato per connotare questo pellegrinaggio. Esso infatti porterà i fedeli in cammino a dirigersi verso il successore di Pietro, per cercarne la benedizione e la protezione da tutti quei pastori che in questi anni non hanno visto di buon occhio il ritorno o il rifiorire della tradizionale liturgia della Chiesa, e che non di rado l’hanno osteggiata, scoraggiata quando non apertamente impedita, contravvenendo quindi alla volontà del papa. Lo stringersi intorno al Pastore della Chiesa Universale, il Servo dei servi di Dio come lo definì san Gregorio Magno (papa), è infatti il motto di questo pellegrinaggio che è stato appunto intitolato Una cum Papa Nostro, “Uniti al nostro Papa”. Una dimostrazione di affetto e devozione che vuole rafforzare l’unità di fede interna alla Chiesa, che negli ultimi cinquant’anni si è vista divisa e frazionata in correnti teologiche più o meno eterodosse, che ne hanno minato la coesione. Non mi dilungherò qui sulle informazioni di carattere tecnico che riguardano le iniziative e gli appuntamenti organizzati per il 1° e il 2 novembre in preparazione alla cerimonia del 3, che possono tranquillamente essere consultate in dettaglio qui.
Stringiamoci quindi intorno al nostro beneamato papa Benedetto il prossimo sabato 3 novembre. Occorre una dimostrazione di unione per tutti coloro che vogliono vedere a pezzi questa Chiesa di Cristo, smembrata dalle ideologie e dalle fazioni di questo mondo, chi dalla parte di Apollo, chi dalla parte di Paolo; ma “Cristo è stato forse diviso?” (1Cor 1,13)
dal sito campariedemaistre.com

Anche mons. Di Noia (Vice Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”) alla S. Messa del 3 novembre

Una Messa sotto i migliori auspici

Gli organizzatori del Pellegrinaggio “Una cum Papa nostro” sono lieti di annunciare che S. E. Mons. A. Di Noia, Vice-Presidente della Commissione Ecclesia Dei, sarà presente alla Messa conclusiva del Pellegrinaggio, che verrà celebrata sabato 3 novembre, alle h. 15,00,  dal Card. Canizares Lovera nella Basilica di S. Pietro. Il cerimoniere sarà un Officiale della stessa Commissione, il brasiliano don Almiro de Andrade.
Per tutto il popolo Summorum Pontificum, ceotus fidelium e preti diocesani, la partecipazione di Mons. Di Noia è una gioia e un onore. È anche il segno che, nonostante l’impegnativa missione affidatagli dal Santo Padre (la riconciliazione con la Fraternità San Pio X), Mons. Di Noia tiene comunque a manifestare la sua cordiale attenzione per tutti quanti hanno ancora, talvolta, l’impressione di essere di troppo nelle loro parrocchie o nelle loro diocesi a causa della forte disapprovazione, o meglio dell’opposizione, che suscita l’espressione della loro sensibilità liturgica.
Anche a prescindere dagli altri prelati che saranno a San Pietro sabato, la celebrazione nella forma straordinaria del rito romano da parte del Prefetto del Culto Divino in presenza del Vice-Presidente della Commissione Ecclesia Dei costituisce in se stessa una bella dimostrazione del fatto che “nessuno è di troppo nella Chiesa”, come sottolineava il Sovrano Pontefice nel 2008 ai vescovi francesi nel primo anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum. È dunque ad un grande momento di unità e di ringraziamento che il Coetus Internationalis Summorum Pontificum invita tutti i cattolici sabato prossimo a Roma.
dal sito unacumpapanostro.org

Pellegrinaggio a Roma: il messalino a cura dell’Associazione “San Gregorio Magno”

È da ora scaricabile il messalino latino-italiano predisposto a cura della nostra Associazione 

Messalino UNA CUM PAPA NOSTRO

Anche noi abbiamo voluto dare il nostro piccolo contributo,

UNA CUM PAPA NOSTRO!

(Istruzioni per la stampa: il file PDF contiene fogli già pre-accoppiati per la stampa su fogli formato A4, che possono essere stampati in ordine fronte-retro e quindi fascicolati. Si procede così: stampare prima tutte le pagine dispari e poi, sul retro dei primi fogli e in ordine, tutte le pagine pari. Alla fine piegare i fogli lungo la metà, fascicolarli e, se si vuole, legarli con un punto metallico).

“UNA CUM PAPA NOSTRO”: mirabile intervista all’Abbé Barthe, cappellano del Pellegrinaggio

Intervista al padre Claude Barthe, cappellano ufficiale del Pellegrinaggio Tradizionale Internazionale Una Cum Papa Nostro

di ALBERTO CAROSA

Dopo l’annuncio che sarà il cardinale Antonio Cañizares Llovera a celebrare il pontificale in rito straordinario in San Pietro il 3 novembre, a conclusione del pellegrinaggio “Una cum Papa nostro” (1-3 novembre 2012) organizzato dal CISP – Coetus Internationalis Summorum Pontificum, saranno almeno altri due gli alti prelati coinvolti nelle varie celebrazioni collaterali per i pellegrini nelle festa di Ognissanti e nella commemorazione dei defunti. Si tratta del cardinale Walter Brandmüller, che celebrerà un pontificale giovedì 1 novembre alle ore 10:30 nella parrocchia personale per il rito antico della Ss.ma Trinità dei Pellegrini, mentre venerdì 2 novembre, sempre nella stessa chiesa ma alle 18:30, una messa pontificale da requiem sarà celebrata da mons. Giuseppe Sciacca, segretario del Governatorato Vaticano.

Queste celebrazioni sono state raccomandate dall’Abbé Barthe, il cappellano ufficiale del pellegrinaggio, che aveva invitato ogni gruppo partecipante ad organizzare un ritrovo di preghiera o una celebrazione almeno il giorno prima del 3 novembre. Per saperne di più sul significato, portata e implicazioni di questa manifestazione di sostegno al Santo Padre promossa dal CISP, gruppo che riunisce le organizzazioni tradizionaliste cattoliche di diversi paesi, l’Abbé ci ha gentilmente concesso questa intervista esclusiva.

Padre, da più parti ci hanno chiesto notizie su di lei. Ci può fornire per favore un suo breve curriculum vitae, formazione ricevuta, studi compiuti, nascita della sua vocazione sacerdotale ecc.?

Sono nato nel 1947 a Fleurance, nel sud-ovest della Francia. La mia vocazione risale alla mia infanzia cattolica. Ho studiato presso l’istituto cattolico di Tolosa, come seminarista diocesano, ma la rivoluzione post conciliare mi costrinse ad abbandonare il seminario. Intrapresi poi degli studi di storia e di diritto, legandomi alla liturgia tradizionale, tanto da entrare a Ecône dove fui ordinato sacerdote da monsignor Lefebvre nel 1979. In seguito sono stato dalla parte dei tradizionalisti “duri”, poi sempre più romani, e alla fine sono diventato sacerdote diocesano (insegno anche liturgia in un seminario tradizionale). Si può anche dire che sono un “prete pubblicista”, per via dei numerosi (e forse anche troppi) libri e articoli.

Ma come nasce l’idea di questo pellegrinaggio tradizionalista e di scegliere lei come cappellano?

L’idea del pellegrinaggio e di una Messa tradizionale in San Pietro per il “popolo Summorum Pontificum” – sia quello delle diocesi che quello delle comunità, Fraternità San Pio X inclusa – si è sviluppata da circa un anno negli ambienti romani detti della “riforma della riforma”, dove si considera che la forma straordinaria del rito latino costituisce la vera e propria colonna vertebrale per una vera rinascita della liturgia. Si è pensato a me per il ruolo (molto modesto!) di cappellano perché sono considerato un partigiano dell’”unione delle forze vive”: tradizionalisti di tutte le tendenze.

Il 10 settembre lei ha tenuto la conferenza stampa di presentazione del pellegrinaggio: ce ne può riassumere gli aspetti salienti?

In primo luogo ho voluto far presente che sarà un rendimento di grazie. I pellegrini offriranno innanzi tutto una Messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di sostegno filiale al Santo Padre in occasione del 5° anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum, che, come è noto, è entrato in vigore il 14 settembre 2007. Per moltissimi sacerdoti, diocesani e religiosi, che ormai celebrano la loro messa quotidiana nella forma straordinaria, è un beneficio spirituale davvero immenso, come pure per i fedeli di quelle parrocchie – sfortunatamente ancora troppo rare – che possono così godere di questa liturgia e della sua mistica. Si può dire che questo atto di Benedetto XVI ha fatto nascere un vero popolo Summorum Pontificum. Questo popolo vuole ringraziarlo di tutto ciò.

E per quanto riguarda altri aspetti?

Devo dire che si tratterà anche di una dimostrazione di fedeltà a Pietro. Il secondo scopo infatti è manifestare in questo modo il nostro amore per la Chiesa e la nostra fedeltà alla Sede di Pietro, particolarmente nell’attuale amara e difficile congiuntura. Siamo ben consapevoli che le fatiche che oggi affronta il Santo Padre sono pesanti. La messa romana tradizionale, in particolare nel Canone, è sempre stata considerata di per se stessa una magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra: è questo credo liturgico che vorremmo esprimere sulla Tomba degli Apostoli, presso il Successore di Pietro. Sarà poi un’offerta e una supplica. Vogliamo fare questo particolare dono al Signore soprattutto per domandarGli le grazie necessarie al Sovrano Pontefice per proseguire nell’opera meravigliosa che egli compie sin dall’inizio del suo pontificato e, specialmente oggi, in mezzo a croci e prove.

Visto che il pellegrinaggio avviene appena dopo l’apertura dell’Anno della Fede, c’è una relazione tra i due eventi? 

Certo. Il nostro pellegrinaggio intende anche essere un’espressione di partecipazione alla missione della Chiesa. Vorremmo apportare alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede il contributo della sempre giovane liturgia tradizionale. È ben chiaro che essa è il sostegno di un gran numero di famiglie cosi come di tante organizzazioni e iniziative cattoliche, specialmente rivolte ai giovani (oratori, scuole, corsi di catechismo) e che è fonte di vocazioni religiose e sacerdotali in costante crescita, cosa che oggi, nel mondo occidentale, si rivela estremamente preziosa.

Direi che a volte non si rifletta abbastanza su questa “crisi” vocazionale degli istituti tradizionali, opposta a quella delle diocesi ordinarie, nel senso che sono costretti a respingere candidati al sacerdozio per mancanza di strutture.

Mi sembra infatti che occorra insistere su questo punto. Per grazia di Dio, in certi paesi come la Francia e gli Stati Uniti – ma il fenomeno potrebbe estendersi – la liturgia tradizionale, purtroppo senza colmare tutti i vuoti, conserva una crescita vocazionale importante. In Francia, per esempio, a fronte di 710 seminaristi diocesani, ci sono 140 seminaristi francesi (di cui 50 della FSSPX) in seminari dedicati alla forma straordinaria, vale a dire il 16%. Questo rapporto si ritrova nel numero delle ordinazioni: quest’anno 21 novelli sacerdoti straordinari contro 97 diocesani. Inoltre, la configurazione spirituale di questo nuovo clero diocesano è in piena mutazione: i giovani preti delle diocesi e i seminaristi diocesani sono attratti dalla celebrazione delle due forme del rito e lo dicono espressamente (in Francia, non è esagerato sostenere che almeno un terzo dei candidati al sacerdozio diocesano possa essere considerato come Summorum Pontificum).

È proprio questo che vorremmo esprimere religiosamente con il pellegrinaggio e la Messa a San Pietro del 3 novembre: quello che si può chiamare il popolo Summorum Pontificum, il popolino (le petit peuple) come si dice in francese per indicare la gente comune, è oggi a disposizione del Santo Padre per la missione della Chiesa.

Secondo lei, come si spiegano le critiche e le perplessità sul pellegrinaggio provenienti da certi ambienti italiani? 

Voglio farle una confessione: sono stato io a suggerire che il comitato si formasse attorno a “Una Voce”, un’organizzazione considerata molto “neutra” nel mondo tradizionalista, e per questo meno soggetta a critiche. Inoltre, conoscendo le divisioni nel (piccolo) mondo tradizionalista italiano, l’idea di appoggiarci su un comitato di recente formazione mi sembrava una garanzia per evitare gelosie e rivalità. Mi è sembrato principalmente che le critiche paventassero la formazione di un organismo teso a federare l’intero mondo tradizionalista. Se quella fosse stata la nostra intenzione avremmo fatto prima a rendere la terra quadrata. Penso che tutti in giro per il mondo abbiano capito che questo comitato non è altro che una modesta organizzazione messa insieme espressamente per quest’occasione al fine di lanciare il movimento per il pellegrinaggio, seguirlo fino a San Pietro e dissolversi poi la sera del 3 novembre. Ci tengo poi a sottolineare che la maggior parte delle critiche italiane sono state espresse sul contenuto stesso del Motu Proprio – arricchimento mutuo e rispetto dell’autorità episcopale – e dunque è purtroppo proprio il Papa, in definitiva, ad essere attaccato dai nostri detrattori.

Con quale messaggio intende concludere questa intervista?

Direi – con parole che non hanno nulla di teologico ma che i fedeli potranno capire – che questa Messa del 3 novembre vuole essere una grande messa “parrocchiale”: dei cattolici del mondo intero vengono a pregare insieme, presso il “Parroco universale”, il Papa. Vogliono pregare tutti insieme per lui , e con lui, in questa liturgia latina gregoriana che è per essenza propria una liturgia di comunione. 

da http://vaticaninsider.lastampa.it

Pellegrinaggio a Roma: tutti gli appuntamenti

MERCOLEDI’  31 ottobre 
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore19,15
Primi vespri solenni di Ognissanti
GIOVEDI’ 1° novembre
– TUTTI I SANTI –
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore 10,30
SANTA MESSA PONTIFICALE
celebrata da S. Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale Walter BRANDMULLER
ore 17,30
Secondi vespri solenni per Ognissanti e di seguito primi Vespri solenni per i defunti.
 VENERDI’ 2 novembre
– COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI –
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore 18,30
S. MESSA PONTIFICALE da Requiem
celebrata da S. Ecc. Rev.ma Mons. SCIACCA,
Segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano
SABATO 3 novembre
Chiesa di San Salvatore in Lauro
dalle ore 10:30
ADORAZIONE EUCARISTICA e ACCOGLIENZA dei pellegrini;
ore 13:30
inizio della PROCESSIONE verso San Pietro:
ore 15:00
BASILICA DI SAN PIETRO IN VATICANO
 S. MESSA PONTIFICALE
celebrata da S. Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale Antonio Cañizares,
prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
Ai fedeli che assisteranno la S. Messa in San Pietro, sarà applicata, secondo le solite condizioni, l’INDULGENZA PLENARIA concessa dal Papa per l’ANNO DELLA FEDE .
A coloro che non partecipano alla processione, viene consigliato di arrivare almeno un’ora prima dell’inizio della Messa per sottoporsi ai controlli di sicurezza necessari per accedere alla Basilica

La Messa del card. Canizares nel commento di R. Moynihan

Robert Moynihan uno dei maggiori blogger tradizionalisti americani, è fondatore ed editore di Inside the Vatican, forse la più informata e letta rivista on-line del cattolicesimo anglofono. Egli è considerato uno dei principali analisti del mondo del Vaticano e ha intervistato Papa Benedetto XVI più di venti volte.

La messa in rito antico ritorna a San Pietro

di Robert Moynihan 

Un solenne Pontificale è in programma per Sabato 3 Novembre alle ore 15,00.

“La celebrazione e l’adorazione dell’Eucarestia permettono di accostarci all’amore di Dio e di aderirvi” – Papa Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis

 “Introibo ad altare Dei…”

Il Cardinale Antonio Canizares Llovera, Spagnolo, 66 anni, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (un uomo considerato molto vicino a Papa Benedetto XVI, tanto che il suo soprannome a Roma è “il piccolo Ratzinger”, in parte a causa della sua bassa statura, più bassa di quella del Papa, ma anche a causa della sua visione teologica e liturgica, molto vicina a quella del Papa) celebrerà la Santa messa Pontificale in San Pietro, sabato 3 Novembre, a conclusione dei 3 giorni del pellegrinaggio della tradizione cattolica.

Data la posizione e le vedute di Canizares, si potrebbe pensare che, simbolicamente parlando, la decisione di permettere la celebrazione di questa Messa nella basilica Vaticana all’inizio dell’ “Anno della Fede” e di avere come celebrante l’uomo a capo del dicastero liturgico del Vaticano, soprannominato “il piccolo Ratzinger”, sia per Roma la scelta strategica più vicina al far celebrare la Messa dal Papa, pur non facendola celebrare, in realtà, dal Papa in persona.

Ma che cosa Benedetto XVI pensi davvero di questa Messa, oltre al fatto di permetterne la celebrazione, non è del tutto chiaro.

Questa è la locandina con i dettagli della Messa. L’immagine presente è velatamente  ingannevole. Nonostante mostri una foto di Benedetto XVI in ginocchio davanti all’altare, il celebrante non sarà Benedetto ma piuttosto Canizares Llovera.

Il titolo “Una cum Papa nostro”, che significa “Con il nostro Papa” o “Uniti al nostro Papa”, enfatizza la lealtà dei Cattolici tradizionalisti al Pontefice, anche se i negoziati con la Fraternità Sacerdotale San Pio X sembrano avere raggiunto un vicolo cieco.

Qual è la vera opinione del Papa sulla Messa in rito antico?

La celebrazione di questa Messa porta alla luce ancora una volta la questione su quale sia la vera posizione di Benedetto XVI a proposito della Messa in rito antico.

La prima risposta a questo importante e fondato interrogativo è… che non abbiamo una risposta precisa.

Negli anni passati, durante gli incontri con il Papa, quando era ancora il Cardinale Ratzinger, gli chiesi più volte quale fosse la sua posizione, e non ho mai sentito una sua risposta esaustiva e chiara.

Ho partecipato a molte Messe celebrate dal Cardinale Ratzinger presso la chiesa del Collegio Teutonico, all’interno delle mura Vaticane, alle 7 di ogni giovedì mattina, e queste Messe venivano sempre celebrate nel nuovo rito, in modo semplice ma solenne.

Posso inoltre dire che, durante le nostre conversazioni, il Cardinale Ratzinger ha più volte manifestato una certa amarezza e indignazione, a proposito del modo in cui la “riforma” liturgica conciliare è stata attuata, affermando che la liturgia era stata sviluppata in “modo non organico” da “professori seduti attorno a un tavolo” e che, da quando è stata introdotta la nuova liturgia, senza sufficienti spiegazioni, i fedeli ordinari si sentivano spesso confusi e a volte scandalizzati. Questa è la posizione che ha riaffermato piuttosto esplicitamente nel suo libro “Lo spirito della Liturgia”.

Tuttavia quando, per esempio, ho sostenuto (nel 1993, quasi 20 anni fa) che il ciclo annuale di letture non avrebbe dovuto essere sostituito da un ciclo triennale di letture (argomentando che il ciclo annuale era in un certo senso più “organico”, più in armonia con il ciclo naturale delle stagioni e quindi in grado di penetrare molto più a fondo, sia psicologicamente che spiritualmente, nei cuori e nelle anime dei fedeli ordinari, che desiderano ascoltare le stesse parole nelle stesse Domeniche di ogni anno, ma nelle diverse circostanze via via determinate dal fluire del tempo e della vita), il Cardinale Ratzinger affermò in modo abbastanza netto che il ciclo triennale era da considerarsi un miglioramento, sostenendo che in questo modo il fedele potesse sentire più brani della Parola di Dio, e non limitarsi ad ascoltare gli stessi brani ogni anno. Queste argomentazioni hanno reso chiaro, almeno a me, che Papa Benedetto in un certo senso considera alcuni aspetti della riforma liturgica conciliare come dei miglioramenti rispetto alla liturgia tradizionale.

Lo scrittore tedesco Martin Mosebach ha scritto un libro brillante sulla Messa in rito antico, sostenendo, a favore della liturgia antica, che le parole e la gestualità favoriscono un atteggiamento di solennità e di umile devozione, facilitando l’attesa contemplativa per la “teofania” – per la manifestazione, qui ed adesso, nello spazio e nel tempo, del Divino, del Signore, di Dio. Mosebach una volta ha affermato che Papa Giovanni Paolo II celebrava privatamente la Messa in rito antico in varie occasioni. Il Vescovo Bernard Fellay, membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X (il gruppo tradizionalista fondato dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre) ha affermato che “qualcuno nella Curia Romana” gli ha riferito che anche Papa Benedetto, ha più volte, privatamente, celebrato Messa in rito antico. Ma queste sono voci, e non possiamo sapere con certezza se corrispondono a verità.

Un grande problema: la strumentalizzazione della Messa antica come uno “standard”

Un problema notevole è che la Messa antica è molto spesso vista allo stesso tempo come qualcosa  di più e di meno di quello che è in realtà. Questa tendenza fa sì che la questione venga affrontata in termini decisamente emotivi, poco adatti a una discussione razionale. Ciò rappresenta un problema profondo.

Voglio dire che la Messa antica è vista come un modello simbolico che rappresenta  un’intera cultura, un’intera visione del mondo e un’intera civiltà, che possiamo chiamare, per ragioni di brevità, la “Cristianità”.

La Messa antica è vista da molti – sia suoi difensori che detrattori – come lo “standard” di un modello di fede e di cultura che ha attraversato un crisi profonda per più di 200 anni; modello identificato in quel (in molti modi corrotto) “ancien regime”, brutalmente spazzato via dalla Rivoluzione Francese nell’ultimo decennio del XVIII secolo.

Ma la Messa in rito antico non è mai stata questo. Non ha mai incarnato il modello simbolico di una limitata cultura umana. Mai.

Questo modo di vedere la Messa, che teneva banco in passato ma anche in tempi moderni – da entrambi i lati – nella prima metà del ventesimo secolo (al tempo del Movimento Liturgico), nella seconda metà del ventesimo secolo (quando imperversava quella febbrile desiderio post conciliare e post ’68 di rompere con il cosìddetto rigido passato), e nei primi anni del XXI secolo (in un periodo di disorientamento generale e di apparentemente diffuso esaurimento spirituale) è un errore fondamentale e fatale per la religione della Chiesa, e per la vita della Chiesa.

Un errore fondamentale perché questa riduzione della Messa, che è un atto di culto, l’atto supremo della vita ecclesiale, questa semplicistica riduzione di un atto liturgico a un atto che rappresenterebbe solo la forma esterna di uno specifico sistema sociale umano, spesso giudicato come un tipico modello di oppressione sociale; e, soprattutto, l’accettazione di questo ridimensionamento, è la spiegazione profonda del fatto che la vita di grazia sia stata così spesso, così largamente, così comunemente impedita e perfino arrestata, cessando apparentemente di fluire, nella Chiesa dei nostri tempi.

Con questo penso alle centinaia, alle migliaia, ai milioni, alle decine di milioni di fedeli che hanno deciso di smettere di partecipare alla Messa, di smettere di confessarsi, di smettere di sposarsi in Chiesa, di smettere di celebrare Messe funebri in onore dei defunti, di smettere di ricevere l’Eucarestia.

I canali della grazia, i semplici canali per mettere in relazione questo mondo con quello celeste, l’umano col divino, i caduti con i redenti, sono stati insabbiati, nascosti, eliminati…

La Messa antica è stata ed è l’organica espressione della fede dei Cristiani nel Signore Risorto, dalla prima generazione ad oggi. Non è mai stata intesa come la Messa di un regime politico o culturale. E il fatto che col tempo abbia finito per apparire l’espressione di una determinata cultura politica e sociale è uno dei motivi di fondo che hanno indotto i Padri Conciliari ad approvare una “riforma” della liturgia.

Tuttavia la “riforma” della Messa in rito antico a cui si è giunti non è stata la riforma che, in base alla lettera dei documenti del Concilio – a cui Papa Benedetto, in tempi recenti, ha auspicato il ritorno – i Padri Conciliari invocavano.

Così abbiamo attraversato due generazioni di confusione liturgica, e la derivante crisi della fede è stata un’inevitabile conseguenza di questa confusione, perché è vero che lex credendi, lex orandi – la legge della preghiera è la legge della fede; che come preghiamo, così crediamo.

Con queste mie affermazioni non intendo dire che non ci fossero aspetti del “modo di pregare” nella liturgia antica che potessero essere in qualche modo pericolosi per la vera maturità Cristiana. Potrebbe essere vero, in qualche modo, come sostenevano alcuni riformatori, che la liturgia antica tendesse a rafforzare un tipo di devozione semplicistica, una fede simile a una “speranza futuribile” staccata dal “qui ed ora” della chiamata di Cristo ad agire sull’urgente questione della carità e della giustizia sociale. In questa visione, alcuni aspetti della celebrazione della Messa in rito antico come l’uso dell’incenso, le vesti, il mistero, potrebbero aver fatto sì che i fedeli focalizzassero l’attenzione sul “paradiso” tanto da dimenticarsi della “terra”. Ammetto che questo avrebbe potuto e potrebbe essere vero, e costituire una preoccupazione per i riformatori liturgici il cui scopo è costruire il Regno, ora  e nel tempo a venire.

Tuttavia nel progressivo tentativo di cambiare la legge della preghiera per arrivare a una legge della fede più profonda, più attiva, e più sensibile alle esigenze della giustizia, abbiamo imboccato vie tortuose, abbiamo spogliato le nostre chiese dalle statue, distrutto le vetrate decorate, ci siamo rivoltati contro la nostra tradizione culturale, e abbiamo perso la nostra strada.

Benedetto e la Messa in rito antico

Nel 2006, un anno prima che Benedetto XVI promulgasse il Summorum Pontificorum (il provedimento con il quale Benedetto affermò che la Messa in rito antico non fosse sbagliata o eretica, ma nobile, sacra, sempre grandiosa, e che potesse essere celebrata liberamente da ogni sacerdote nella Chiesa), Alice von Hildebrand ebbe un’udienza privata con il Santo Padre. (Io incontrai la Dottoressa Hildebrand a Roma nello stesso periodo in cui ella incontrò il Papa). In quella occasione, faccia  a faccia, sollecitò Benedetto a “liberalizzare” la Messa Tradizionale, e insistette nel voler sapere quando il Santo Padre lo avrebbe fatto. Il Papa rispose che l’avrebbe fatto “in un futuro non troppo lontano” (gli fu necessario un altro anno e due mesi per superare la resistenza di molti prelati di alto rango). Questo scambio di opinioni trapelò.

Ora, molti Cattolici che conservano la visione tradizionale della preghiera della Chiesa e della liturgia si chiedono: il Papa in persona annuncerà, prima o poi, con serenità e senza drammatizzare, “Celebrerò io stesso la messa in rito antico nella Basilica di San Pietro”?

Penso che questo potrebbe accadere nel corso del corrente Anno della Fede, proprio perché la legge della preghiera è la legge della fede.

Ed anche perché questo è l’unico gesto del Papa che potrebbe avere un enorme impatto sui nostri fratelli Ortodossi, i quali temono l’impatto degli elementi secolari sulla nostra liturgia riformata, e sarebbero maggiormente inclini ad intraprendere il dialogo ecumenico con la Chiesa Cattolica qualora la liturgia antica venisse maggiormente “riabilitata” rispetto a quanto è già stato fatto fino ad ora.

Alcuni anni fa, con l’esortazione apostolica Sacramentorum Caritatis, Papa Benedetto incoraggiò una più diffusa conoscenza ed un uso più diffuso delle Preghiere della Messa in latino e del canto gregoriano, ribadendo un’affermazione del Sinodo dei Vescovi del 2005 circa “l’influenza benefica” sulla vita della Chiesa delle variazioni intervenute nella liturgia dopo il Concilio Vaticano Secondo.

Tuttavia, il Papa approvò anche il suggerimento del Sinodo che nelle Messe in occasione di vasti incontri internazionali, la Liturgia venisse celebrata in Latino “con l’eccezione delle letture, dell’omelia e delle preghiere dei fedeli” (Ovviamente, egli si riferiva alla celebrazione della “nuova” Messa in Latino e non di quella in rito antico).

Che cosa significherebbe se Benedetto scegliesse di celebrare la liturgia antica in san Pietro?

Se Benedetto lo facesse, non vorrebbe dire che è un sostenitore dell’ancien regime. Egli non vorrebbe essere definito un reazionario.

Al contrario, il Papa vorrebbe dire che la forma straordinaria del rito Romano, l’antica Messa in latino, non è un modello, o una copertura per sentimenti reazionari, ma qualcosa di diverso e molto più grande: un insieme di preghiere molto semplici, molto antiche, molto vicine alle radici giudaiche, di suppliche, azioni e gesti che richiamano e rappresentano la sofferenza di Gesù Cristo sul Calvario a Gerusalemme; e che questi validi, efficaci e straordinariamente belli preghiere, suppliche, azioni e gesti sono adatti ai Cattolici oggi e in futuro, come lo sono sempre stati in passato.

Fra tre mesi, Benedetto XVI sarà il quarto papa più anziano dopo Leone XIII, Clemente XII e Clemente X.

Fonte: The Moyniham Report (http://www.themoynihanreport.com/)

L’abbé Barthe sulla messa del Cardinal Cañizares in San Pietro a Roma: «Una riunione di famiglia»

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum ha recentemente annunciato il programma della giornata conclusiva del Pellegrinaggio “Una cum Papa nostro”, che si terrà a Roma dal 1° al 3 novembre 2012. Senza eccessivo clamore, il CISP svela così anche il nome del celebrante della messa di chiusura del pellegrinaggio, sabato 3 novembre alle h. 15 nella basilica di San Pietro a Roma: niente meno che il Prefetto del Culto Divino, il Cardinale Antonio Cañizares Llovera.

Per comprendere la portata di tale celebrazione, abbiamo chiesto al cappellano del pellegrinaggio, l’abbé Claude Barthe, il senso della partecipazione del Prefetto del Culto Divino al pellegrinaggio stesso.

Abbè Barthe: Considerati i fini spirituali della celebrazione nella Basilica Vaticana, il fatto che il celebrante sia il Cardinale Antonio Cañizares Llovera è particolarmente commovente. Sappiamo, infatti, che la celebrazione è destinata:

 – ad offrire una S. Messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di supporto filiale al Santo Padre nel quinto anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum;

– a manifestare l’amore dei pellegrini per la Chiesa e la loro fedeltà alla Sede di Pietro;

– ad esprimere visibilmente il contributo della liturgia tradizionale alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede.

Ora, la qualità del celebrante, che è il responsabile della Liturgia romana in nome del Papa, dà a questo omaggio un particolare rilievo. Il Card. Cañizares Llovera, infatti, ha già celebrato più volte e in diversi luoghi la Messa nella forma straordinaria, segnatamente in occasione di ordinazioni sacerdotali, nella maggior parte dei casi su invito delle Comunità Ecclesia Dei, ma anche per i Francescani dell’Immacolata, e sempre con grande benevolenza. Ma oggi c’è di più: la messa sulla Tomba di Pietro sarà certamente solenne, ma anche “popolare”. Infatti, la folla di coloro che, grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum, possono beneficiare nelle loro parrocchie della messa nella forma straordinaria – sacerdoti in cura d’anime, fedeli e seminaristi diocesani – si ritroverà intorno al card. Canizares che, in quanto delegato del Santo Padre per la liturgia, in quel giorno sarà un po’ come il “parroco” universale di tutti loro. Sacerdoti, fedeli e seminaristi canteranno la Missa de Angelis in San Pietro a Roma, proprio come fanno, o dovrebbero ormai poter fare, ogni domenica nelle loro parrocchie.

Per chi conosce il carattere sensibile e affettuoso del cardinale, nonché il credo liturgico che questi semplici e comuni fedeli testimonieranno riconoscenti al Santo Padre, la celebrazione accanto a Don Antonio assume l’aspetto di una calorosa riunione di famiglia.

Fonte: Risposte catholique (www.riposte-catholique.fr).