Robert Moynihan uno dei maggiori blogger tradizionalisti americani, è fondatore ed editore di Inside the Vatican, forse la più informata e letta rivista on-line del cattolicesimo anglofono. Egli è considerato uno dei principali analisti del mondo del Vaticano e ha intervistato Papa Benedetto XVI più di venti volte.
La messa in rito antico ritorna a San Pietro
di Robert Moynihan
Un solenne Pontificale è in programma per Sabato 3 Novembre alle ore 15,00.
“La celebrazione e l’adorazione dell’Eucarestia permettono di accostarci all’amore di Dio e di aderirvi” – Papa Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis
“Introibo ad altare Dei…”
Il Cardinale Antonio Canizares Llovera, Spagnolo, 66 anni, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (un uomo considerato molto vicino a Papa Benedetto XVI, tanto che il suo soprannome a Roma è “il piccolo Ratzinger”, in parte a causa della sua bassa statura, più bassa di quella del Papa, ma anche a causa della sua visione teologica e liturgica, molto vicina a quella del Papa) celebrerà la Santa messa Pontificale in San Pietro, sabato 3 Novembre, a conclusione dei 3 giorni del pellegrinaggio della tradizione cattolica.
Data la posizione e le vedute di Canizares, si potrebbe pensare che, simbolicamente parlando, la decisione di permettere la celebrazione di questa Messa nella basilica Vaticana all’inizio dell’ “Anno della Fede” e di avere come celebrante l’uomo a capo del dicastero liturgico del Vaticano, soprannominato “il piccolo Ratzinger”, sia per Roma la scelta strategica più vicina al far celebrare la Messa dal Papa, pur non facendola celebrare, in realtà, dal Papa in persona.
Ma che cosa Benedetto XVI pensi davvero di questa Messa, oltre al fatto di permetterne la celebrazione, non è del tutto chiaro.
Questa è la locandina con i dettagli della Messa. L’immagine presente è velatamente ingannevole. Nonostante mostri una foto di Benedetto XVI in ginocchio davanti all’altare, il celebrante non sarà Benedetto ma piuttosto Canizares Llovera.
Il titolo “Una cum Papa nostro”, che significa “Con il nostro Papa” o “Uniti al nostro Papa”, enfatizza la lealtà dei Cattolici tradizionalisti al Pontefice, anche se i negoziati con la Fraternità Sacerdotale San Pio X sembrano avere raggiunto un vicolo cieco.
Qual è la vera opinione del Papa sulla Messa in rito antico?
La celebrazione di questa Messa porta alla luce ancora una volta la questione su quale sia la vera posizione di Benedetto XVI a proposito della Messa in rito antico.
La prima risposta a questo importante e fondato interrogativo è… che non abbiamo una risposta precisa.
Negli anni passati, durante gli incontri con il Papa, quando era ancora il Cardinale Ratzinger, gli chiesi più volte quale fosse la sua posizione, e non ho mai sentito una sua risposta esaustiva e chiara.
Ho partecipato a molte Messe celebrate dal Cardinale Ratzinger presso la chiesa del Collegio Teutonico, all’interno delle mura Vaticane, alle 7 di ogni giovedì mattina, e queste Messe venivano sempre celebrate nel nuovo rito, in modo semplice ma solenne.
Posso inoltre dire che, durante le nostre conversazioni, il Cardinale Ratzinger ha più volte manifestato una certa amarezza e indignazione, a proposito del modo in cui la “riforma” liturgica conciliare è stata attuata, affermando che la liturgia era stata sviluppata in “modo non organico” da “professori seduti attorno a un tavolo” e che, da quando è stata introdotta la nuova liturgia, senza sufficienti spiegazioni, i fedeli ordinari si sentivano spesso confusi e a volte scandalizzati. Questa è la posizione che ha riaffermato piuttosto esplicitamente nel suo libro “Lo spirito della Liturgia”.
Tuttavia quando, per esempio, ho sostenuto (nel 1993, quasi 20 anni fa) che il ciclo annuale di letture non avrebbe dovuto essere sostituito da un ciclo triennale di letture (argomentando che il ciclo annuale era in un certo senso più “organico”, più in armonia con il ciclo naturale delle stagioni e quindi in grado di penetrare molto più a fondo, sia psicologicamente che spiritualmente, nei cuori e nelle anime dei fedeli ordinari, che desiderano ascoltare le stesse parole nelle stesse Domeniche di ogni anno, ma nelle diverse circostanze via via determinate dal fluire del tempo e della vita), il Cardinale Ratzinger affermò in modo abbastanza netto che il ciclo triennale era da considerarsi un miglioramento, sostenendo che in questo modo il fedele potesse sentire più brani della Parola di Dio, e non limitarsi ad ascoltare gli stessi brani ogni anno. Queste argomentazioni hanno reso chiaro, almeno a me, che Papa Benedetto in un certo senso considera alcuni aspetti della riforma liturgica conciliare come dei miglioramenti rispetto alla liturgia tradizionale.
Lo scrittore tedesco Martin Mosebach ha scritto un libro brillante sulla Messa in rito antico, sostenendo, a favore della liturgia antica, che le parole e la gestualità favoriscono un atteggiamento di solennità e di umile devozione, facilitando l’attesa contemplativa per la “teofania” – per la manifestazione, qui ed adesso, nello spazio e nel tempo, del Divino, del Signore, di Dio. Mosebach una volta ha affermato che Papa Giovanni Paolo II celebrava privatamente la Messa in rito antico in varie occasioni. Il Vescovo Bernard Fellay, membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X (il gruppo tradizionalista fondato dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre) ha affermato che “qualcuno nella Curia Romana” gli ha riferito che anche Papa Benedetto, ha più volte, privatamente, celebrato Messa in rito antico. Ma queste sono voci, e non possiamo sapere con certezza se corrispondono a verità.
Un grande problema: la strumentalizzazione della Messa antica come uno “standard”
Un problema notevole è che la Messa antica è molto spesso vista allo stesso tempo come qualcosa di più e di meno di quello che è in realtà. Questa tendenza fa sì che la questione venga affrontata in termini decisamente emotivi, poco adatti a una discussione razionale. Ciò rappresenta un problema profondo.
Voglio dire che la Messa antica è vista come un modello simbolico che rappresenta un’intera cultura, un’intera visione del mondo e un’intera civiltà, che possiamo chiamare, per ragioni di brevità, la “Cristianità”.
La Messa antica è vista da molti – sia suoi difensori che detrattori – come lo “standard” di un modello di fede e di cultura che ha attraversato un crisi profonda per più di 200 anni; modello identificato in quel (in molti modi corrotto) “ancien regime”, brutalmente spazzato via dalla Rivoluzione Francese nell’ultimo decennio del XVIII secolo.
Ma la Messa in rito antico non è mai stata questo. Non ha mai incarnato il modello simbolico di una limitata cultura umana. Mai.
Questo modo di vedere la Messa, che teneva banco in passato ma anche in tempi moderni – da entrambi i lati – nella prima metà del ventesimo secolo (al tempo del Movimento Liturgico), nella seconda metà del ventesimo secolo (quando imperversava quella febbrile desiderio post conciliare e post ’68 di rompere con il cosìddetto rigido passato), e nei primi anni del XXI secolo (in un periodo di disorientamento generale e di apparentemente diffuso esaurimento spirituale) è un errore fondamentale e fatale per la religione della Chiesa, e per la vita della Chiesa.
Un errore fondamentale perché questa riduzione della Messa, che è un atto di culto, l’atto supremo della vita ecclesiale, questa semplicistica riduzione di un atto liturgico a un atto che rappresenterebbe solo la forma esterna di uno specifico sistema sociale umano, spesso giudicato come un tipico modello di oppressione sociale; e, soprattutto, l’accettazione di questo ridimensionamento, è la spiegazione profonda del fatto che la vita di grazia sia stata così spesso, così largamente, così comunemente impedita e perfino arrestata, cessando apparentemente di fluire, nella Chiesa dei nostri tempi.
Con questo penso alle centinaia, alle migliaia, ai milioni, alle decine di milioni di fedeli che hanno deciso di smettere di partecipare alla Messa, di smettere di confessarsi, di smettere di sposarsi in Chiesa, di smettere di celebrare Messe funebri in onore dei defunti, di smettere di ricevere l’Eucarestia.
I canali della grazia, i semplici canali per mettere in relazione questo mondo con quello celeste, l’umano col divino, i caduti con i redenti, sono stati insabbiati, nascosti, eliminati…
La Messa antica è stata ed è l’organica espressione della fede dei Cristiani nel Signore Risorto, dalla prima generazione ad oggi. Non è mai stata intesa come la Messa di un regime politico o culturale. E il fatto che col tempo abbia finito per apparire l’espressione di una determinata cultura politica e sociale è uno dei motivi di fondo che hanno indotto i Padri Conciliari ad approvare una “riforma” della liturgia.
Tuttavia la “riforma” della Messa in rito antico a cui si è giunti non è stata la riforma che, in base alla lettera dei documenti del Concilio – a cui Papa Benedetto, in tempi recenti, ha auspicato il ritorno – i Padri Conciliari invocavano.
Così abbiamo attraversato due generazioni di confusione liturgica, e la derivante crisi della fede è stata un’inevitabile conseguenza di questa confusione, perché è vero che lex credendi, lex orandi – la legge della preghiera è la legge della fede; che come preghiamo, così crediamo.
Con queste mie affermazioni non intendo dire che non ci fossero aspetti del “modo di pregare” nella liturgia antica che potessero essere in qualche modo pericolosi per la vera maturità Cristiana. Potrebbe essere vero, in qualche modo, come sostenevano alcuni riformatori, che la liturgia antica tendesse a rafforzare un tipo di devozione semplicistica, una fede simile a una “speranza futuribile” staccata dal “qui ed ora” della chiamata di Cristo ad agire sull’urgente questione della carità e della giustizia sociale. In questa visione, alcuni aspetti della celebrazione della Messa in rito antico come l’uso dell’incenso, le vesti, il mistero, potrebbero aver fatto sì che i fedeli focalizzassero l’attenzione sul “paradiso” tanto da dimenticarsi della “terra”. Ammetto che questo avrebbe potuto e potrebbe essere vero, e costituire una preoccupazione per i riformatori liturgici il cui scopo è costruire il Regno, ora e nel tempo a venire.
Tuttavia nel progressivo tentativo di cambiare la legge della preghiera per arrivare a una legge della fede più profonda, più attiva, e più sensibile alle esigenze della giustizia, abbiamo imboccato vie tortuose, abbiamo spogliato le nostre chiese dalle statue, distrutto le vetrate decorate, ci siamo rivoltati contro la nostra tradizione culturale, e abbiamo perso la nostra strada.
Benedetto e la Messa in rito antico
Nel 2006, un anno prima che Benedetto XVI promulgasse il Summorum Pontificorum (il provedimento con il quale Benedetto affermò che la Messa in rito antico non fosse sbagliata o eretica, ma nobile, sacra, sempre grandiosa, e che potesse essere celebrata liberamente da ogni sacerdote nella Chiesa), Alice von Hildebrand ebbe un’udienza privata con il Santo Padre. (Io incontrai la Dottoressa Hildebrand a Roma nello stesso periodo in cui ella incontrò il Papa). In quella occasione, faccia a faccia, sollecitò Benedetto a “liberalizzare” la Messa Tradizionale, e insistette nel voler sapere quando il Santo Padre lo avrebbe fatto. Il Papa rispose che l’avrebbe fatto “in un futuro non troppo lontano” (gli fu necessario un altro anno e due mesi per superare la resistenza di molti prelati di alto rango). Questo scambio di opinioni trapelò.
Ora, molti Cattolici che conservano la visione tradizionale della preghiera della Chiesa e della liturgia si chiedono: il Papa in persona annuncerà, prima o poi, con serenità e senza drammatizzare, “Celebrerò io stesso la messa in rito antico nella Basilica di San Pietro”?
Penso che questo potrebbe accadere nel corso del corrente Anno della Fede, proprio perché la legge della preghiera è la legge della fede.
Ed anche perché questo è l’unico gesto del Papa che potrebbe avere un enorme impatto sui nostri fratelli Ortodossi, i quali temono l’impatto degli elementi secolari sulla nostra liturgia riformata, e sarebbero maggiormente inclini ad intraprendere il dialogo ecumenico con la Chiesa Cattolica qualora la liturgia antica venisse maggiormente “riabilitata” rispetto a quanto è già stato fatto fino ad ora.
Alcuni anni fa, con l’esortazione apostolica Sacramentorum Caritatis, Papa Benedetto incoraggiò una più diffusa conoscenza ed un uso più diffuso delle Preghiere della Messa in latino e del canto gregoriano, ribadendo un’affermazione del Sinodo dei Vescovi del 2005 circa “l’influenza benefica” sulla vita della Chiesa delle variazioni intervenute nella liturgia dopo il Concilio Vaticano Secondo.
Tuttavia, il Papa approvò anche il suggerimento del Sinodo che nelle Messe in occasione di vasti incontri internazionali, la Liturgia venisse celebrata in Latino “con l’eccezione delle letture, dell’omelia e delle preghiere dei fedeli” (Ovviamente, egli si riferiva alla celebrazione della “nuova” Messa in Latino e non di quella in rito antico).
Che cosa significherebbe se Benedetto scegliesse di celebrare la liturgia antica in san Pietro?
Se Benedetto lo facesse, non vorrebbe dire che è un sostenitore dell’ancien regime. Egli non vorrebbe essere definito un reazionario.
Al contrario, il Papa vorrebbe dire che la forma straordinaria del rito Romano, l’antica Messa in latino, non è un modello, o una copertura per sentimenti reazionari, ma qualcosa di diverso e molto più grande: un insieme di preghiere molto semplici, molto antiche, molto vicine alle radici giudaiche, di suppliche, azioni e gesti che richiamano e rappresentano la sofferenza di Gesù Cristo sul Calvario a Gerusalemme; e che questi validi, efficaci e straordinariamente belli preghiere, suppliche, azioni e gesti sono adatti ai Cattolici oggi e in futuro, come lo sono sempre stati in passato.
Fra tre mesi, Benedetto XVI sarà il quarto papa più anziano dopo Leone XIII, Clemente XII e Clemente X.
Fonte: The Moyniham Report (http://www.themoynihanreport.com/)